Che fare per la nostra democrazia?

colombo-zagrebelsky_web01QUALE DEMOCRAZIA PER L’ITALIA? A colloquio con Gherardo Colombo e Gustavo Zagrebelsky di Camilla Mantegazza

Ripartiamo dalla Costituzione e la vera democrazia sarà possibile: questo è il monito di Gherardo Colombo, simbolo –non solo- di Mani Pulite, e di Gustavo Zagrebelsky, giurista italiano ed ex giudice della Corte Costituzionale. In un orgoglioso scenario monzese, l’Aula Magna della Facoltà di Medicina, si svolge il colloquio organizzato dall’ Associazione Novaluna per l’8 novembre. Il pubblico è folto, i giovani pochi. Peccato: la maggior parte delle parole sono rivolte a loro. Gherardo Colombo inaugura il suo intervento con un elogio ai primi tre articoli della Costituzione, essenza stessa della democrazia. Carta sconosciuta ai più, assente nelle scuole, ma alla base della comunicazione politica, che, già una sua superficiale conoscenza potrebbe fungere da garanzia e tutela della democrazia stessa.

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E la scuola è il bersaglio primo dell’ex magistrato che, con le sue inchieste, ha scritto la storia. Come si può pretendere democrazia se non si insegnano i principi base che la regolano? Come è possibile insegnare il vivere democratico se il sistema scolastico con la sua organizzazione propone un modello gerarchico e verticale che collide con ciò che propugna la Costituzione? Un’educazione plasmata su un sistema sociale sorpassato, in cui il padre era il capo famiglia e la madre l’addetta alla cura della casa, abitua all’obbedienza. E l’obbedienza è l’antitesi di ciò che servirebbe alla democrazia per funzionare: responsabilità e spirito critico. Abbiamo la libertà, ma non siamo in grado di gestirla. Abbiamo la democrazia, ma non siamo in grado di decidere e lavorare insieme. Abbiamo una storia, ma non sappiamo chi siamo e da dove veniamo. Critichiamo i politici, ma stiamo seduti sulle nostre poltrone a mugugnare, estranei alla logica del fare, perfetti nei ruoli dei critici e degli spettatori, con infinita capacità di delega.

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L’ottimismo è minimo nelle parole di Gherardo, o meglio: la delusione è tanta verso quell’immobilismo che non permette uno sviluppo in senso pienamente democratico dei nostri ordinamenti. Eppure la democrazia –e il microfono passa nella mani di Zagrebelsky- è il regime che gli uomini di governo, se responsabili e lontani dalla logica dell’effimero, dovrebbero preferire: il peso del potere, della cosa da governare, è distribuito su tante spalle tali da rendere il macigno più sopportabile. La Repubblica, res publica, è di tutti, dunque di nessuno in particolare. Ciò dovrebbe avvantaggiare la sua governabilità: ma in Italia è realmente così? Ironico e pungente, Zagrebelsky. E così la democrazia si svuota, è un guscio privo di sostanza al suo interno, per il semplice fatto che nel Bel Paese “non si fa più politica” che altro non è che “scelta tra opzioni, scontro tra posizioni”. Manifestazione plastica del deperimento della politica, dunque la morte della democrazia, sono le nostre “larghe intese” dove chi ha votato “di qua, è come se avesse votato di là”.

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Il ragionamento fila: è chiaro che l’opzione, essenza della politica, è andata scomparendo. Le poltrone del pubblico iniziano poi a cigolare, l’imbarazzo si percepisce nei mormorii che passano di bocca in bocca quando Gustavo Zagreblesky ci ricorda che tutti noi, almeno una volta, “siamo arrivati lì perché apparteniamo ad un giro, inteso come sistema di relazioni che assicura fedeltà in cambio di protezione”. Mafia? Chiede il pubblico. Sì, anche, risponde il giurista. Ma attenzione a non nasconderci dietro questo filo d’erba. L’illegalità vive anche nelle nostre coscienze, quando è immediata la visita tramite mutua dal neurologo, solo perché la moglie del dottore partecipa al corso di pittura con la moglie dell’ammalato.

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Già, tutti siamo dentro questo “giro”, che è caratteristica “mortale e onnicomprensiva” del nostro sistema, causa di sprofondamento e annegamento delle nostre strutture democratiche. Non è un bel dipinto del nostro paese, quello realizzato a quattro mani da Colombo e Zagrebelsky. Le provocazioni sono tante, però. L’appello è ai giovani: muovetevi, partecipate, siate democratici, lavorate per il bene comune. Le cose possono cambiare e non spaventatevi se domani i mutamenti non saranno percepibili, e forse nemmeno tra qualche anno. Ingegnatevi per le generazioni che verranno, senza commettere gli errori dei vostri padri: educate -ed educhiamoci- alla responsabilità e alla libertà.

 

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