di Claudio Pollastri
La cerimonia ufficiale a Roma per i cent’anni dalla nascita di Oscar Luigi Scalfaro (Novara, 9 settembre 1918) è stata velata da una fronda politica ma soprattutto ideologica e morale nei confronti dell’ex Presidente della Repubblica. Ho seguito l’evento e mi è venuto spontaneo commentare “io non ci sto”, come avrebbe esclamato Scalfaro con una frase diventata il tormentone esasperato di mille imitazioni. E vorrei aggiungere alcune annotazioni perché si fa presto a dimenticare o addirittura irridere una fermezza morale liquidata nel migliore dei casi come un “comportamento da gentiluomo dell’Ottocento”.
Ho incontrato Scalfaro, per lavoro, una decina di volte. Mi ha sempre colpito la serietà (da non confondersi con cupezza o tristezza perché Scalfaro aveva un forte senso dell’humour) con cui ascoltava l’interlocutore concedendogli sempre la massima disponibilità e attenzione. E poi l’onestà intellettuale nel rispondere con coerenza e di illustrare le situazione com’erano veramente. Detta così sembra molto facile, quasi banale, ma realizzarla diventa quasi utopistica nell’ottica attuale.
Devotissimo a Maria Vergine mi aveva spiegato, come un catechista ai tempi dell’oratorio, i motivi per cui si rivolgeva alla Madonna prima di ogni decisione “mi sono sempre sentito guidare nelle scelte più importanti e mi ha dato la forza di sopportare le sconfitte e i dolori della vita”.
Devo ammettere che in certe situazioni, a colloquio con Scalfaro, non ero obiettivo perché mi affascinava lo stile sabaudo che s’intuiva dai suoi modi pacati a tratti aristocratici e dall’orologio a cipolla sul panciotto anche se ci teneva a precisare “la mia famiglia era di origini calabresi. Mio padre era un alto funzionario delle Ferrovie giunto a Novara per lavoro”.
A Novara Scalfaro seguiva gli studi e incontrava i tre grandi amori della sua vita: la moglie scomparsa prematuramente, l’Azione Cattolica e la Politica. “Ho sempre portato il distintivo dell’Azione Cattolica sul bavero – raccontava – anche quando ero al Quirinale. Da cattolico seguace dei principi di don Sturzo ho sempre considerato la politica la più elevata forma di carità ma potevo svolgerla in un solo partito, la Democrazia cristiana”.
Nella Dc del Dopoguerra aveva trovato subito un ruolo importante nonostante fosse molto giovane e indirizzato alla carriera di magistrato. “Ero stato spedito a Roma – diceva – a far parte dell’Assemblea Costituente, insieme a un gruppo di miei coetanei come Aldo Moro, Emilio Colombo, Giuseppe Dossetti e Giulio Andreotti. Avevo appena ringraziato il mio angelo custode per avermi salvato da un rastrellamento fascista e dovevo chiedere subito aiuto a Maria Vergine per il compito gravoso che mi avevano affidato”.
Altri tempi dove gli avversari politici non erano nemici e la solidarietà umana andava oltre le ideologie! “Una mattina – ricordava – avevo accompagnato Alcide De Gasperi da Pietro Nenni per comunicargli che la figlia era morta in un campo di sterminio. Senza dire una parola i due si erano capiti, si erano abbracciati e avevano pianto insieme”.
Uomo tutto d’un pezzo e di intensa affidabilità morale si trovava a suo agio a Montecitorio. “Perché lì si combattono le vere battaglie politiche – commentava – e a me piace dare battaglia”.
Era stata una battaglia dura e per un certo aspetto anche drammatica l’elezione a Presidente delle Repubblica nel 1992. Secondo i detrattori, a fare confluire i voti su Scalfaro a discapito di Spadolini (che ci restò malissimo) era stato l’attentato a Giovanni Falcone. “Un accostamento – si rammaricava – che mi ha sempre addolorato. Forse preannunciava un settennato in cui ho visto scomparire la classe dirigente sterminata dagli avvisi di garanzia”.
A quel punto la domanda era sempre la stessa: dove trovava la forza per andare avanti? Anche la risposta di Scalfaro era sempre la stessa “chiedevo aiuto a Maria Vergine”. Lo chiese anche quando si era trovato in una specie di conflitto d’interessi tra il credente rispettoso delle gerarchie ecclesiastiche e il Capo di Stato vincolato ai doveri laici del suo ruolo. “Dovevo incontrare Giovanni Paolo II – spiegava – e la visita era stata programmata da tempo. In quei giorni avevo avuto un confronto dialettico con il cardinale Ruini ma la Provvidenza era intervenuta a modo suo ritardando di qualche mese l’incontro.
All’appuntamento in forma ufficiale il Pontefice era stato subito molto diretto ricordandomi i doveri del cristiano in politica. Gli avevo risposto con altrettanta fermezza che le decisioni spettavano alla politica mentre i sacerdoti avevano il ruolo fondamentale di pregare per non far sentire soli i politici . E mentre parlavo ricordavo quanto aveva sofferto il povero De Gasperi ai tempi dell’Operazione Sturzo”. Avevo chiesto a Scalfaro dove avesse trovato il coraggio di controbattere in quel modo al Papa, lui così credente. Mi aveva risposto con naturalezza quasi volesse sottolineare l’ovvietà della domanda “in Maria Vergine, come sempre!…”.