di Enzo Biffi
La cicatrice è una metafora potente del dolore e della cura. Ossimoro di strazio e di consolazione. In questo tempo di dolori e lacerazioni siamo tutti sospesi nell’attesa che finisca il male e che la sutura possa lenire in parte il dolore.
Ma ogni cicatrice consegna anche il ricordo che l’ha creata e a ogni portatore resterà il compito di attribuirgli la fine consolante di un dolore o la rabbia del dolore che è stato.
Abbiamo pensato a una piazza dentro una città, dove coinvolgere quante più persone possibili, invitandole a tracciare a terra, con un semplice gesso, il simbolo iconico di una cicatrice riprodotto per decine di migliaia di volte, come decine di migliaia sono le vittime attuali della tragedia palestinese in corso.

Un mondo pieno di violenza e di ferite impensabili che restituiscono cicatrici assolute; anticorpi da guardare dritti in faccia, ogni giorno, ogni ora, ogni tempo, come un confine fra ciò che è stato e non deve essere ancora.
Disegneremo migliaia di cicatrici, ognuna delle quali è un volto, un nome, un fratello, una madre, un umano sacrificato alla violenza inutile.
C’è un ammonimento in ogni cicatrice a non oltrepassare il limite sopportabile del “male”.
Ogni sutura chiude un po’ il dolore e la paura, talvolta la disperazione.
Si può di nuovo respirare, immaginare.

