di Francesca Radaelli
La solitudine dell’infanzia e dell’adolescenza. La difficoltà di crescere e trovare la propria strada malgrado l’indifferenza, la distanza e la superficialità di genitori, insegnanti e istituzioni educative. E’ questo il tema al centro de I 400 colpi, il film girato da François Truffaut nel 1959, riproposto in sala in questi giorni (lunedì 13 ottobre al Capitol di Monza) nella versione restaurata da Mk2 e distribuita dalla Cineteca di Bologna in collaborazione con BIM, all’interno del progetto Il Cinema Ritrovato. Torna così al cinema, a trent’anni dalla morte del suo autore – avvenuta il 21 ottobre 1984 – uno dei lungometraggi che diede inizio alla Nouvelle Vague francese. Nonché il primo capitolo del Ciclo di Doinel, la serie di film con protagonista Antoine Doinel, alter ego del regista Truffaut interpretato da Jean-Pierre Léaud, cui seguiranno Antoine e Colette (1962), Baci rubati (1968), Non drammatizziamo… è solo questione di corna (1970) ,L’amore fugge (1978).
Il volto serio e triste del dodicenne Antoine Doinel, che vaga irrequieto per le strade di Parigi insieme al coetaneo René, esprime ancora alla perfezione il dramma dell’adolescente spaesato di fronte a un mondo, quello degli adulti, in cui non riesce a trovare un posto, né un minimo di calore umano. Ed è emblematico, sotto questo punto di vista, il fatto che il piccolo Antoine non abbia una propria camera e sia costretto a dormire nell’ingresso dell’appartamento dei genitori.
Faire les quatre cents coups, il modo di dire da cui discende il titolo del film, si potrebbe tradurre in italiano con l’espressione “fare il diavolo a quattro”. Fa riferimento la vivacità della reazione di Antoine di fronte alla rigidità e alla freddezza degli adulti e delle loro regole. Nel corso del film lo vediamo marinare la scuola, portando come giustificazione la morte della madre, scappare di casa passando la notte in una tipografia e poi nascondendosi in casa dell’amico René, cercare di rubare una macchina da scrivere. Per finire, infine, in riformatorio. E parte proprio dal riformatorio la corsa di Antoine verso il mare, all’interno della famosissima sequenza finale, che si conclude con il fermo immagine sul volto del ragazzo che rivolge uno sguardo sincero e doloroso verso al cinepresa.
E’ ancora attuale la vicenda, autobiografica, raccontata da Truffaut oltre cinquant’anni fa? Oggi forse i tempi sono cambiati. I ragazzi dell’età di Antoine hanno uno smartphone, giocano alla playstation, chattano su facebook. Non sono più lasciati a dormire davanti alla porta, non vengono presi a schiaffi davanti ai compagni di scuola, non si sentono rifiutare soldi dai genitori. Anzi.
L’adolescenza resta però un’età complessa ed enigmatica, fatta di solitudine e spaesamento. Sentimenti di fronte a cui ci pone, ancora una volta, lo sguardo pieno di domande con cui Antoine, nell’ultima scena del film, si congeda dallo spettatore.
Francesca Radaelli