Il disagio psichico è vivere nel buio, è rabbia, paura e disperazione, è il non essere più in grado di sorridere, è un tunnel senza uscita, è un mondo senza colori, è solitudine in mezzo a tanta gente, è mancanza di reazioni, è freddo, è un’etichetta che ti metti tu e che ti mettono gli altri, è un lato
oscuro e inesplorabile, è bizzarria, è come la fragilità di un bambino, è percezione distorta della realtà, è buco nero che ti inghiotte.
Dinanzi alla malattia c’è chi ha paura e scappa, c’è chi si sente impotente e ride.
Solo chi è malato davvero comprende il disagio di vivere degli altri, chi soffre non si sente solo ”fuori di testa” ma si sente fuori dal mondo, inadeguato a qualsiasi situazione, in qualsiasi luogo e tempo.
Ed è inutile negare che ci sia solo una sottilissima differenza tra la malattia mentale e la genialità: tantissimi artisti, infatti, lo hanno confermato nei secoli.
Nessuno cerca volontariamente il disagio mentale e tutti lo affrontano in modo diverso, perché siamo tutti diversi: c’è chi combatte e chi si lascia andare. Chi è in grado di affrontarlo è solo chi è consapevole del proprio disturbo e non nega la propria condizione per paura di essere etichettato, giudicato ed infine emarginato.
Il supporto psicologico aiuta ad avere una reazione al disturbo e di grande valore potrebbe essere la nascente figura dell’”utente esperto”, ovvero di quella persona che, dopo un percorso riabilitativo, è riuscita a far regredire la malattia e che, facendo parte dell’equipe medica, aiuta chi in quel momento non sta bene.
L’esperienza che hanno avuto li rende infatti capaci di cogliere la sofferenza e i segnali di disagio prima degli altri e aiuta la persona a dare voce ad un bisogno di aiuto, che spesso non viene riconosciuto e che troppo spesso viene sminuito o sottovalutato.
Dov’è la normalità? Normalità che brutta parola! Se quelli che si sentono normali ti giudicano, ti additano, è arrivato il tempo di rivalutare il valore che si dà a questa parola. Come sei tu che giudichi me? Com’è il tuo equilibrio? La normalità è negli occhi di chi guarda, peccato che molto spesso alcuni guardano attraverso occhiali di un solo colore. Ma la realtà non è così, anche se la società ti definisce “normale”.
La Redazione di Scacco Matto
Il mondo del disagio psichico e della sofferenza dell\”anima\” analizzato nell\’articolo, mette a nudo la precarietà dell\’esistenza umana evidenziandone la condizione di fragilità che spesso caratterizza il vissuto di uomini e donne; il concetto di normalità è assolutamente relativo e credo ruoti intorno alla possibilità che ognuno di noi possa trovare e ritrovare sempre una sorta di equilibrio con sé, con il mondo e con gli altri per non sentirsi fuori dal mondo o in squilibrio con esso ma ancora in armonia. Qual\’è la realtà della follia, quale è la sua immagine o quale è la sua relazione con le comuni esperienze di dolore o di malinconia. Ci sono domande che non riescono a trovare una risposta se non indagando nelle pieghe profonde dell\’anima dove nasce il senso delle lacerazioni dolorose e delle tormentose inquietudini che si sperimentano nel corso della vita. La nostra società amplifica i segni della follia ma è anche la stessa società nella quale più forti e vitali possono trovarsi ed attecchire segnali di speranza. Al centro di tutto resta il significato della follia come esperienza umana, specchio nel quale si riflette dilatata e radicalizzata, la nostra condizione. La follia intesa come destino, come esperienza creativa, come manifestazione del dolore, La follia che rende possibile una più ampia comprensione di quello che noi siamo nella nostra fragilità e di quello che è il mondo nella sua misteriosa e insondabile complessità.
…..nel giardino ormai calmo l\’insperato giardino tante volte sfigurato che nel riverbero di mondi ignoti continua a crescere e mai non si perde ( R. Maria Rilke, i folli, Nuove poesie)