Ci sono momenti in cui tacere diventa una colpa

quirico-scola_0619di Daniela Zanuso

«Il mio concetto di giornalismo è semplice come la mia fede: cioè, scrivere ciò che uno vede, essere presenti laddove l’uomo soffre. Raccontare il dolore è una cosa molto complicata, che richiede molta onestà, e la prima onestà è di vederlo e condividerlo.

Non si racconta chi soffre se non soffri anche tu. Allora, o lo faccio in questo modo o faccio un altro mestiere». 

Parole di Domenico Quirico, inviato de La Stampa. E’ iniziato così, con la lettura di Donatella Negri (giornalista Rai e moderatrice dell’incontro) di uno stralcio di intervista rilasciato da Quirico a Radio Vaticana lo scorso settembre, il tradizionale incontro tra l’Arcivescovo di Milano e gli operatori della comunicazione, che si tiene ogni anno in occasione della festa del patrono dei giornalisti, San Francesco di Sales.

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il giornalista Domenico Quirico

Quirico inizia citando il famoso fotografo Steve McCurry che dopo la sua prima fotografia di guerra dichiarò: “Scattai la foto e poi scoppiai a piangere”. Il giornalismo per lui è  “essere nei luoghi in cui l’uomo soffre, partecipare al dolore dell’altro perché solo dalla commozione nasce la mia titolarità a raccontare la storia di altri uomini, perché la materia del lavoro del giornalista è il dolore dell’uomo. Non si ha diritto di maneggiare quel dolore se non ci appartiene e quindi bisogna esserci, anche rischiando di pagare di persona”. Prosegue dichiarando: ”Ad un certo punto della mia vita mi sono accorto che il mio lavoro ha una responsabilità morale verso il mondo che racconto. Il gesto di scrivere, le parole che scelgo di usare hanno delle conseguenze. Ci sono stati momenti in cui le parole hanno fermato le guerre (Algeria e Francia per esempio)  e altri momenti, come nel caso della Siria, in cui l’omissione di questo dovere di testimoniare ha portato a questa tragedia. In Siria non abbiamo tenuto fede a quel rapporto di responsabilità morale, non abbiamo saputo creare quella commozione attraverso cui nasce, cresce, reagisce la coscienza”.

Parole intense, che rivelano grande sincerità, passione e coerenza nell’esercizio del proprio mestiere e che un po’ turbano la platea di giornalisti e pubblico che gremisce la sala dell’Istituto dei Ciechi di Milano.

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Poi è il Cardinale Scola a prendere la parola: “ La commozione è un’esperienza naturale dell’uomo, a commuovere la coscienza è la verità.(…) La coerenza è difficile a causa della nostra fragilità, ma bisogna anche essere capaci di un ascolto senza pregiudizi, perché la verità è complessa e il nostro limite è coglierla”. L’unica strada da percorrere è quella della testimonianza.

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“Il giornalismo è un continuo fare e disfare, tutti i giorni si ricomincia ed è lì il cuore della magia, ma non bisogna farsi tentare dal narcisismo, il reportage perfetto non ha bisogno di firma” dice ancora Quirico e aggiunge:” C’è anche il dovere di raccontare i perdenti, i maledetti, i dannati, gli sconfitti. Questo permette di scoprire che c’è anche lì una ragione, una bontà, un motivo. Dobbiamo ascoltare anche gli altri, non dobbiamo dimenticarli”.  

E il Cardinale Scola cita a questo punto papa Francesco: “Il Papa ci insegna che dobbiamo vivere l’esperienza quotidiana dell’esserci, del vivere con gli altri, del partecipare perché dobbiamo ascoltarci e poi raccontare quell’umano che ci feconda e ci arricchisce. Questo dialogo è stato un abbraccio”. E Donatella Negri conclude in perfetta sintonia affermando: ”Ci sono momenti in cui tacere diventa una colpa”.

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