Covid19: passi avanti nella lotta alla pandemia

di Roberto Dominici

All’Istituto Telethon di genetica e medicina (TIGEM) di Pozzuoli diretto dal Professore Andrea Ballabio, il gruppo di ricerca guidato da Antonella De Matteis professore ordinario di Biologia cellulare all’Università Federico II di Napoli, ha fatto luce su come SARS-CoV-2 si replica all’interno delle nostre cellule, suggerendo anche un nuovo potenziale bersaglio farmacologico per nuovi farmaci anti-COVID-19.

Lo studio ha meritato le pagine della prestigiosa rivista “Nature” ed è frutto della lunga e solida esperienza del Tigem sul traffico di membrane, l’insieme dei meccanismi di trasporto da e verso le cellule, che risulta compromesso in diverse malattie genetiche rare.

Il lavoro, è stato supportato dalla Fondazione Telethon, dal Ministero dell’Università e della Ricerca e dalla Regione Campania. L’obiettivo dei ricercatori era di chiarire meglio il comportamento del nuovo virus, in particolare come esso sfrutta a proprio vantaggio la cellula ospite che infetta.

L’interesse del laboratorio di Napoli è focalizzato sullo studio di due importanti distretti intracellulari che sono il reticolo endoplasmatico e il complesso del Golgi e in questi anni si è cercato di capire come mutazioni di geni che causano malattie rare come la sindrome di Lowe, la malattia di Fabry o una forma di sclerosi laterale amiotrofica (SLA), interferiscono con l’organizzazione di questi distretti e come la disfunzione di questi distretti porta alle manifestazioni della malattia.

Il laboratorio del Tigem ha messo a punto dei sistemi cellulari che riproducono i difetti responsabili di queste malattie genetiche e li ha ottimizzati anche allo scopo di cercare correttori delle disfunzioni cellulari indotti da mutazione dei geni malattia.

Grazie al lavoro di ricerca di base condotto nel corso degli anni su questi modelli di malattia, il team della De Matteis si è trovato pronto ad affrontare uno dei tanti punti oscuri che riguardano la strategia messa in atto da SARS-CoV-2, così come da altri coronavirus, per sfruttare al meglio le risorse della cellula ospite per la propria replicazione.

Subito dopo essere entrato nelle nostre cellule SARS-CoV-2 si spoglia del suo rivestimento, costituito dalla ormai nota proteina Spike bersaglio dei vaccini e da altre due proteine chiamate M ed E.

Prima di iniziare a riprodursi, il virus si costruisce una sorta di “tana” sfruttando le membrane della cellula ospite, in particolare quelle del reticolo endoplasmatico, struttura importante per varie attività cellulari tra cui la sintesi delle proteine.

In questa nicchia il virus può replicare indisturbato il proprio patrimonio genetico a base di RNA, al sicuro dai sistemi di controllo della cellula ospite.

I ricercatori hanno scoperto che tre proteine del virus sono importanti per questo processo: due (chiamate NSP3 e NSP4) formano la tana vera e propria, fatta di vescicole tonde a doppia membrana all’interno della quale l’RNA si replica, mentre una terza (chiamata NSP6) garantisce il collegamento con la struttura da cui arrivano i “mattoni” per costruire la tana, il reticolo endoplasmatico; si tratta però di un cunicolo molto stretto, che lascia passare soltanto i grassi che servono per ingrandire la tana ma che impedisce il passaggio di proteine cellulari pericolose per le nuove copie di RNA virale.

Un altro aspetto importante è che alcune varianti di SARS-CoV-2 ritenute molto più contagiose, compresa la omicron, presentano una forma mutata della proteina NSP6, che è in grado di fare cunicoli ancora più stretti e, proprio grazie a questo, di replicarsi più velocemente.

In altre parole, è stato individuato un fattore che favorisce la replicazione del virus, ma che si potrà provare a neutralizzare farmacologicamente: sono state infatti individuate piccole molecole in grado di interferire con NSP6 e di ridurre la sua capacità di formare cunicoli stretti.

Un potenziale bersaglio farmacologico per nuovi antivirali che saranno caratterizzati meglio nell’immediato futuro. Questo lavoro dimostra che dalla ricerca di base sulle malattie genetiche rare possono derivare scoperte per studiare meccanismi cellulari di base che potrebbero quindi giocare un ruolo importante anche in malattie comuni come il Covid-19.

 

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