di Giacomo Laviosa
Nato nel 1881 semplicemente come Mustafa, rimase assai presto orfano di padre e poté continuare gli studi grazie all’aiuto di parenti, ottenendo per i suoi meriti scolastici il soprannome di Kemal («il perfetto»). Allontanato per attività politica clandestina fondò nel 1906 a Damasco l’associazione segreta Patria e Libertà, con lo scopo di sostituire all’Impero, del quale vedeva il carattere obsoleto e repressivo, la nazione turca.
Era uno dei primi passi sul piano politico che lo avrebbero portato a diventare il presidente della Repubblica turca diciotto anni più tardi.
Fino alla sua morte nel 1938 fu il dominatore indiscusso, come presidente della Repubblica, della politica turca. Sebbene la costituzione del 1924 prevedesse istituzioni parlamentari, egli mantenne tutte le leve del potere. La Turchia kemalista era un paese accesamente nazionalista, con un autoritarismo tutto teso a strappare la nuova Turchia alla sua secolare arretratezza civile. Il kemalismo mirava a dare ai turchi una coscienza nazionale autonoma. Nel 1928 lo Stato venne separato dalla Chiesa islamica, al fine di spezzare i legami cosmopolitici dei turchi con gli altri paesi musulmani. La legislazione venne improntata a criteri europei. L’alfabeto latino sostituì quello arabo. I costumi nelle città vennero occidentalizzati. Nel 1934 l’uso del cognome fu reso obbligatorio e l’assemblea nazionale assegnò a Mustafa Kemal quello di Ataturk, padre dei turchi.
Fu avviata la lotta contro l’analfabetismo di massa. La poligamia venne proibita e alla donna nel 1935 fu dato il diritto di voto. Ma tutti questi sforzi non potevano che rimanere limitati alle città. L’arretratezza economica era enorme e le campagne rimasero per lo più estranee all’inizio della modernizzazione.
Per attuare le riforme volute da Ataturk era necessario inculcare nella mente dei turchi l’orgoglio etnico che si tradusse nel rifiuto di ammettere che in Turchia esistessero popolazioni non turche. La maggior parte dei greci e degli armeni avevano abbandonato il paese in seguito ad eventi bellici e deportazioni lasciando il gruppo etnico turco in netta maggioranza. Solo i curdi mantenevano una presenza rilevante e, di fronte all’impossibilità di negare che la loro lingua appartenesse alla famiglia indoeuropea, si proibì di parlarla.
Malgrado le apparenze di un regime costituzionale, la Turchia di Ataturk era una dittatura, giustificata con l’esigenza di realizzare i sei principi ideologici inscritti nella costituzione: nazionalismo, laicismo e modernismo (già presenti nel programma dei Giovani turchi), repubblicanismo, populismo e statalismo. Ataturk, del resto, non nascose mai la sua ammirazione non tanto per l’ideologia, quanto per i metodi organizzativi di regimi che si proponevano di trasformare i rispettivi paesi: il fascismo in Italia, il bolscevismo in Urss e il nazismo in Germania.