Dialogo sull’amore

di Eleonora Duranti

Dapprima seguendo le orme di Bellini e del Giorgione, poi spiccando il volo e dominando, dall’alto, i canali della Serenissima, Tiziano Vecellio diviene presto l’artista più rinomato della Repubblica. Nel 1514, uno dei suoi committenti sarà Niccolò Aurelio, cancelliere del Consiglio dei Dieci, il quale gli comanderà un’opera illustrante l’amor sacro e l’amor profano, probabilmente per omaggiare la futura consorte, Laura Bagarotto. La grande tela che ne risulterà sarà ricca di significati e si sottoporrà a interpretazioni diverse. I sentimenti più raffinati e i tratti più gentili, però, saranno sempre protagonisti, insieme, ovviamente, all’inimitabile “Rosso Tiziano”.

LAURA: «Il sole sta tramontando sopra il borgo lontano e, presto, le campane della chiesa annunceranno il vespro. Un altro giorno sta volgendo al termine e, tra qualche ora, cederà il passo a uno nuovo, quello del mio matrimonio. Su questo remoto anfratto di mondo, regna la tipica pace dei sogni; nel mio animo, invece, sta per scatenarsi una violenta tempesta di emozioni contrastanti. Oh, mio povero cuore… Temo proprio che sia giunto il momento di dire addio alle innocenti tenerezze della fanciullezza e di scoprire cosa sia l’Amore… Quello vero… Autentico… Degno di una donna che bambina non è più…»

VENERE: «Mia cara… Ti guardo e, nei tuoi occhi, non scorgo altro che la paura dell’ignoto. Non ti tormentare o correrai il rischio di non assaporare appieno i frutti della vita coniugale! Non celare i tuoi timori e la tua inquietudine con tanta austerità; sono legittimi ed è tuo diritto provarli. Tuttavia, posso assicurarti che non persisteranno a lungo…»

LAURA: «Le tue parole mi sono di conforto, bella signora, ma io non ti conosco… Sarei una sciocca a fidarmi ciecamente dei tuoi consigli e delle tue consolazioni…»

VENERE: «E’ evidente, che tu non sappia chi io sia! Non ancora, quantomeno… Se ci fossimo già incontrate, sarebbe stato… Come dire… Inopportuno. A ogni modo, sono certa che diventeremo buone amiche…»

LAURA: «La tua cortesia mi lusinga, ma non posso trattenermi di più. Ho un banchetto da presiedere e una cerimonia da preparare…»

VENERE: «Preferisci, dunque, sfuggire e reprimere la curiosità che ti sta serrando lo stomaco, giovane sposa? Sta bene… Prima di andare, però, permettimi di rivelarti un segreto prezioso… L’Amore è come questa lampada accesa. Illumina, riscalda, rinfranca, dà speranza e promette felicità eterna; tuttavia, proprio come questa fiamma, può affievolirsi, addirittura spegnersi, se non curato e protetto abbastanza. L’Amore, quello vero, autentico, che tu vai cercando, ha bisogno delle stesse premure di cui necessita un bambino; lo si deve cullare nella bambagia, ma senza opprimerlo, senza soffocarlo, senza tappargli le ali… Perché l’Amore, semplicemente, è la vita. Ti serve, forse, una più autorevole conferma? Ebbene… La avrai sia dal Sacro sia dal Profano. Per una volta, i due rivali per eccellenza concorderanno.»

Tiziano, Amor Sacro e Amor Profano, 1514/1515. Olio su tela, 118×279 cm. Roma, Galleria Borghese.

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