Diario da Homs, dalla Siria per il Dialogo di Monza (2)

di Janusz Gawronski – [email protected]

DIARIO DA HOMS, Siria per il Dialogo di Monza, seconda puntata. 

Proseguo la corrispondenza da Homs. Qui contestualizzo alcuni elementi di vita della società siriana, come premessa per poi illustrare il progetto GasMuha di “study zone”.

Parto dalla constatazione che il mio innato voler vedere le cose come positive, possibili, non sempre è corrisposto dalla realtà sul campo.

Qui sottotraccia molto è insicuro, difficile, personalmente rischioso, tensione celata da cortesia, si inciampa nel molto che non va affatto in questo paese.

Voglio crederci, così continuo a spostarmi per la città, anche se ti possono rapire, e fra l’altro ogni mattino faccio 2-3 ore di arabo (avessi vent’anni, imparerei meglio: però imparo, la civiltà araba è indicibilmente bella e stimolante).

Sto impiegando i giorni per andare per quanto possibile sotto la crosta delle prime apparenze della realtà siriana, per arrivare a quella dei giovani universitari, il target sul quale come GasMuha abbiamo iniziato a lavorare.

Approfitto di ogni opportunità per sbirciare aspetti inattesi, ogni volta che una finestra si socchiude per conoscere qualcosa di particolare che getta luce sul generale.

Così un’amica belga, Barbara, qualche giorno fa mi parla di una cucciolata nata nel parcheggio sotto il monastero di Mar Musa, cinque in tutto, subito accolti dai militari della zona perché la madre è morta al parto.

Poi però, per scelte culturali che non voglio discutere, le femmine sono portate via, ad alcuni km, alla discarica di Nebek. Barbara esprime preoccupazione in particolare per la sorte di una delle tre femmine, sua protetta. Andando a Homs, chiedo di deviare verso la discarica.

Sali, scollini, eccoti in un luogo che nessuno vorrà abitare per secoli, perché è tutto un cumulo di spazzatura, a perdita d’occhio. Certe aree sono di spazzatura recente, appena scaricata, dove spiccano i colori più ricorrenti degli scarti di immondizia: bianco, nero, altri colori.

La spazzatura “colorata” è quella che gli squatter devono ancora passare al setaccio, e lo fanno con applicazione certosina, raccolgono ogni bene che incorpori valore: oggetti, telefoni, batterie, ma anche carta e plastica, due materiali preziosi in quanto combustibili.

Gli squatter sono ovunque, qualcuno solitario, qualcuno organizzato in squadre. Quando finiscono, esaurita la cernita, le aree senza più interesse sono pronte per essere liberate per far spazio a nuovi scarichi dalla città, allora qualcuno appicca i fuoco, e tanti saluti, così per un paio di chilometri non c’è più colore, vedi solo il nero della spazzatura arrostita, e l’atmosfera ringrazia.

Il mio intento, velleitario, è trovare la piccola. Avvicino un gruppo di anime annerite, mostro un piccolo video. Si fanno avanti, carini, vivaci, incuriositi, neri di sporcizia, sguardi vivi, facce cotte di sole. Non resisto e chiedo:

  • Posso fare una foto?

Fa un passo avanti l’adulto,uno fra ragazzini. Esprime stupore, si mette sulla difensiva.

  • No, perché una foto, a che ti serve?
  • Per documentare, per un giornale di Monza.
  • Monza, che è Monza? Qui non c’è niente di bello.

Lo dice con ragionevolezza. Non c’è niente di bello.

  • Non vedi, è solo spazzatura. Da dove vieni?
  • Italia.

I volti si illuminano. Immagino cosa può evocare “Italia”. Calciatori, soprattutto.

  • Foto di noi, così? No, siamo sporchi adesso. Ma se vieni a casa!
  • La prossima volta.

Chissà. Forse il mestiere rende. Forse hanno case pulite, con il marmo per terra e la tv satellitare. Una foto insieme sì, forse, dopo una bella doccia, vestiti bene, nella casa a Nebek, non certo qui, non così. Peccato peccato, quelle facce non si dimenticano.

  • Avete visto questo cane?
  • Un cane? Vediamo…
  • Ma! Qui è pieno di cani, ragazzi avete visto questo cane qui? No? No. Questo in particolare no, però davvero, è così pieno di cani che …

A vista, almeno dieci cani in diverse direzioni, alcuni belli e fieri, altri brutti e rovinati. Questo gruppo non mi può aiutare. Proseguo.

In cima, la strada battuta finisce fra cumuli sistemati con le ruspe, l’auto fatica a girarsi senza finire su ferri e bottiglie. Mi fermo a contemplare la scena. Qualcuno segnala una cosa davanti. È lì. Esattamente in mezzo alla strada, devo esserci passato sopra con le ruote poco prima, senza vederlo. È un cucciolo, avrà un mese, la madre non è presente.

Ci allontaniamo di duecento metri, scatto qualche immagine con il teleobiettivo, troppo lontano per catturare quelle facce importanti. Da Nebek scrivo: “Barbara, sono stato alla discarica, ci sono moltissimi cani, inclusi cuccioli, ma la nostra non l’ho vista. Non è un ambiente dove un cucciolo può sopravvivere. Se ti interessa quel cane, che oramai è qui da più di due settimane, ti consiglio di non perdere tempo a venire a cercarlo. Chiedi allo stesso taxi, ti porterà e proteggerà. Buona fortuna”.

Barbara non ha perso tempo, due giorni dopo erano lì in quattro, della cagnetta nessuna traccia. Ci siamo sentiti dispiaciuti e stupidi.

Tornando alla immondizia. Il ciclo della spazzatura insegna molto su una civiltà. Approfondendo, emerge che i siriani, per assoluta miseria, attualmente producono una quota infinitesima della spazzatura degli italiani. Una componente nei cassonetti, immonda, sono le carte con le quali ci si pulisce dopo aver defecato, se non si usa direttamente e soltanto il getto d’acqua annesso ai wc.

Perché qui le fogne non sopporterebbero di dover trasportare anche la carta igienica. Dunque nei cassonetti, anzitutto quegli avanzi lì. Poi ci sarebbe l’umido, che non è molto: in assenza di elettricità, i frigoriferi non funzionano quasi più, quindi, un po’ per questo e un po’ per miseria, si acquista meno merce deperibile, se ne spreca meno, si cerca di consumare quasi tutto; al di fuori delle città maggiori, il resto finisce agli animali, dunque nei cassonetti di umido ne arriva poco.

Nei cassonetti dovrebbe finire anche carta (la componente più voluminosa dei rifiuti italiani) e plastica. Tuttavia, trattandosi di materiali combustibili, una parte di questi rifiuti ai cassonetti non arriva, bensì finisce nelle stufe di casa, nei mesi invernali. In quelli estivi immagino che carta e plastica aumentino. Poi i cassonetti di città sono fatti oggetto di numerose visite da parte delle persone in cerca di tesori. In conclusione, i camion municipali portano in discarica un distillato di spazzatura già vagliato. Sul quale si innestano gli squatter, che a loro volta ne vivono. Al cielo finisce relativamente poco, grazie ai già citati falò di fine-ciclo.

Bambino che prepara un gioco con gessetto

Dopo la spazzatura, un altro elemento interessante è l’elettricità. Qui a Homs, come in tutta la Siria, te la danno ad orari programmati. La programmazione cambia ogni settimana, in un ciclo di orari di tre settimane, al termine delle quali si ricomincia.

Nel quartiere della mia insegnante di arabo Rita questa settimana l’elettricità era attesa alle 1345, fino alle 15.45, fasce di due ore, ripetute tre volte al giorno.

Oggi che ero lì la corrente è arrivata in anticipo, alle 13.38, ed è durata una mezz’ora, e mancava da ventiquattro ore. Vuoi bollire qualcosa? Vuoi lavare i panni?

L’arrivo della corrente è condizionante per la vita dei siriani. Più o meno conosci quando potrebbero dartela, quindi in quegli orari non fai altro, la aspetti. Appena arriva spegni il sistema a batteria, accendi la luce normale, fai partire la lavatrice, ti fai la doccia e ti asciughi i capelli, accendi la pompa che pesca dall’acquedotto e ricarica il serbatoio sul tetto.

Prepari il cibo: se devi cucinare qualunque cosa richieda più di cinque minuti sul fuoco: patate, riso, zuppa … lo fai a elettricità, perché il gpl è razionato, ogni famiglia ha diritto a una bombola da 10 kg ogni tre mesi, quando una famiglia con tre figli solo per cucinare ne richiede una al mese – per il secondo e terzo mese vai sul mercato nero, se te lo puoi permettere, altrimenti: boh! La scelta fra gas e elettricità non è neanche una questione di costo, ma di disponibilità: il gas quasi non c’è, mentre l’elettricità, quel paio d’ore al giorno, sì.

Naturalmente ogni casa deve avere almeno una piccola batteria, una vecchia batteria di automobile, qualcosa, per illuminare, per ricaricare le power bank e i cellulari. La luce nelle case è bassissima, appena dei piccoli led.

I temi igiene personale, riscaldamento, sono conseguenti. Qui il contatto fisico è ammesso come da noi, salvo fra donne musulmane e maschi non appartenenti alla famiglia: in quel caso è cattiva educazione anche tendere la mano alla padrona di casa. Se comunque abbracci qualcuno, facilmente avrà odore di una persona che non si lava da un po’. È normale, accettato, nessuno ci fa caso né lo si considera un’infrazione sociale.

Perché l’acqua più o meno c’è, mentre l’acqua calda è un lusso per pochissimi. Gli odori umani di una volta sono sdoganati. E in questi mesi freddi ci si copre molto, anche nelle case. Non puoi andare in casa di un siriano e dar mostra di avere freddo.

Subito ti offrirà di accendere la stufa a mazout, tu dovrai cortesemente declinare, dire che stai bene, non c’è bisogno, anche se fuori ci sono tre gradi e dentro dodici. Per dare l’idea: in questi giorni io indosso triple calze, mutandone termico, maglietta lunga termica, seconda maglietta, golf di lana, e sopra una camicia invernale, il tutto infilato dentro i pantaloni invernali. Sopra: felpa calda con cappuccio, giacca a vento da mezza stagione, berretto di lana.

È in questo contesto che uno studente universitario deve affrontare gli studi: con buone lezioni, però senza testi, se non online, senza riscaldamento e senza luce. Questo ci porta direttamente dentro il tema del nostro progetto, la Study Zone. Al prossimo pezzo!

 

 

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