Diario dal Libano III: un ordine nuovo

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di Claudia Terragni

23 agosto 2016. Mi piacciono i temporali. Ti colgono sempre alla sprovvista. Quando sei in giro in bici e sicuramente non hai con te l’ombrello, quando sei immerso nello studio e sobbalzi al rimbombare del primo tuono. Sono una sorpresa, qualcosa che scuote lo scorrere lineare della giornata.

Un po’ meno piacevole se il temporale pensa bene di farti visita quando sei rinchiuso in un aereo della Turkish Airlines a 10.000 metri di altezza. Sapere di essere intrappolati in una lattina volante che rimbalza tra i lampi non è particolarmente rassicurante. Ben che meno se nel frattempo tenti di mandar giù un boccone di pasta senza sporcarti i pantaloni, senza rovesciare il bicchiere d’acqua sulle gambe del vicino in preda al panico e senza insultare il ragazzo israeliano conosciuto in aeroporto che ride come un pazzo godendosi lo spettacolo che stai offrendo. È stato circa così il volo di ieri da Istanbul a Malpensa, di ritorno dal Cantiere della Solidarietà in Libano.

Fortunatamente sopra l’Italia il meteo ha deciso di graziare i nostri stomaci sballottati.

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Seduta di fianco a me c’è Shelma, una delle mie compagne di viaggio. Guardiamo il groviglio di brillanti lucine che innervano le terre lombarde. Sembra di vedere il pavimento di casa l’8 dicembre, quando spargi le lanternine luccicanti per il salotto prima di addobbare l’albero di Natale.

C’è pace. Tutto ha senso.

Shelma mi guarda e mi chiede se sono pronta. “Sì dai, ormai il tempo è tranquillo, dobbiamo solo atterrare”. Ce la posso fare senza vomitare! “No… intendevo se sei pronta alla quotidianità”.

Tutto un altro paio di maniche. Non sei mai pronto a tornare. Almeno non io. Dopo un viaggio non mi sento mai abbastanza preparata per immergermi di nuovo nella marea della vita di tutti i giorni.

Le luci sono più belle dall’alto. Quando ci sei dentro è difficile trovare un’armonia.

È semplice perdersi nel luccichio.

Però questa volta è diverso. Un viaggio di volontariato non è una vacanza come un’altra. Non posso permettere che rimanga solo un bel ricordo, non voglio che diventi un altro bel quadretto da appendere tra gli altri sulla parete. Non lo può diventare, mi ha lasciato troppo, non è racchiudibile in una cornice di plastica blu.

È l’idea, è l’ispirazione per cambiare la disposizione delle foto già appese. È un’esperienza di senso, la rivoluzione per trovare un ordine nuovo. Per portare un po’ di Libano nella mia vita. Per cambiare strada.

Non sarà semplice raccontare tutto. Incontri, odori, relazioni, soddisfazioni, paure e tanti, tanti interrogativi. Ma non li voglio lasciare senza risposta. E non voglio tenere per me ciò che il Paese dei cedri mi ha lasciato.

Perché alla quotidianità di prima non sono pronta. Voglio costruirne una nuova.

 

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