Diario Gasmuha dalla Siria

DIARIO GASMUHA DALLA SIRIA; di Janusz Gawronski

Aleppo centro. Passeggiatrici discendono a braccetto, tu tardo e lento ad accorgerti: stupore del vicino, cautela per un gradino, lentezza, ragazzina sostenendo la matura, malferma, fissando lei più che il marciapiede, tu focalizzi scarpette naif vs stivale basso tacco robusto fibbiette chic, giacca in cuoio rosso ferrari vi-prego-accorgetevi. Ignorate incedono, siedono: parco, panchina, voliere in disarmo, pennuti chissà dove, sorseggiano baguette e frullato. Rallentato realizzi: la matura richiede sostegno, ti causa allarme da cristalleria in bilico. Fai foto, ha detto la giovane, spiegando: 2012, primavera araba, l’altra ha subito violenza, lasciato il lavoro, si è murata in casa con la madre, da allora vivono di sostegno della chiesa armena.

Puntualizza la giovane che questa è la prima uscita dell’altra dal 2012, è stata dura convincerla, le ha provate tutte, l’altra ha svicolato, trovato coraggio, eccola qua prima volta fuori. E: guarda come veste, il completo della violenza? ha avuto coraggio, non ti pare, e io sì mi pare, come hai fatto, ti ha ascoltato, avranno provato in molti, la piccola annuisce, dice forse era per me di farlo, questa passeggiata. Prosegue con un filo: avevo dodici anni, c’era il Daesh, mi pareva fossimo in pace, sono andata nella casa vuota di mio nonno sfollato, a prendere qualcosa. Pausa. Respiro. Devono avermi seguito. Pausa. Erano in tre, mi hanno colpito in testa, con i calci dei mitra. Non ricordo altro. Solo il primo mi ha avuta. Come lo sai, inopportunamente chiedo.

Sussurra: credo. Silenzio. Riprende: uno zio mi ha portato in ospedale, è l’ultima volta che l’ho visto, portarmi in ospedale deve essergli costata la vita. Di me nessuno ha saputo, nessuno. Otto anni che porto questo segreto. Dodici-venti anni, senza dirlo a nessuno. Mio padre mi avrebbe ucciso, la interrompo: come ti avrebbe ucciso, sì, è certo, non ci sarebbero state alternative, incalzo ma tuo padre è cristiano! sì, e allora. Nel silenzio di un caffè vuoto, conclude: stamane eravamo in due a passeggiare.

Le amiche di Aleppo, come sono andate avanti? Senza un padre-minaccia, la grande ha avuto una gestione lunga e dolorosa, costata fino ad oggi dodici anni di indigenza, vita persa; la grande infine ha trovato il coraggio di uscire, l’ha fatto alla grande, aggressiva. La giovane descrive come l’altra ha implorato: bukra, domani. “capisci, ha afferrato la liana che le lanciavo”. Brava questa ventenne, per qualcuno bambina, in realtà mica tanto: si è curata le ferite, non molla, cura quelle altrui, porta nelle case i pacchi della chiesa.

Ora mettiti una foto a due centimetri dagli occhi, che vedi? Così anche i numeri provocano strabismo: mille, un milione, sei milioni di ebrei; cento, mille, quattro milioni di rom; qualcuna, migliaia, milioni di violenze sulle donne in Siria, in questi anni. Ne abbiamo sentito parlare? Il Medioriente non è forse una storia di ebrei e palestinesi? C’è altro? Noi europei distratti, che dobbiamo fare, siamo fatti così, selettivi sulle notizie che contano, ora domandiamoci: le violenze sulle donne in Siria, i fatti siriani, come si sono svolti, e: come si sono risolti? come sono stati gestiti? Lo dico male, generalizzo.

La Siria è uno Stato fondato su donne aggredite e violentate, che solidarizzano, assistono, curano i disastri maschili. All’inizio della primavera araba, 2011, in Siria vivevano non meno di dieci milioni di donne in età da violenza sessuale. Alcune – centinaia di migliaia – sono state uccise. Altre – milioni – sono emigrate: troppo tardi o per tempo? per risparmiarsi attenzioni maschili. Altre – milioni, non le poche migliaia italiane, aggiungiamo tre zeri – hanno subito aggressioni, violenze sessuali ripetute.

Da noi oddìo come mi vesto stasera, qui si slacciavano i pantaloni, si banchettava, avanti le prossime. Eravamo disattenti? Qualcosa i media hanno detto, senza conquistare audience. E qui a Homs? Zero denunce, inchieste, incarcerazioni, condanne: da queste parti la polizia crede ai maschi, le donne per definizione se la sono cercata. Appartiene al maschio la mano che indica ad altro maschio di andare pure, che al check point, all’ufficio visti accetta la banconota, all’esame universitario, non avrai trenta o cento se non paghi, paghi di più se donna, cristiana, il sistema è maschile, funziona a vigliacche mazzette: proporzionate alla tua identità religiosa, al genere, a quanto dipendi dall’atto che richiedi.

La vita siriana giace sotto macerie di edifici e diritti negati. Anche qui la donna è portatrice di tabù non negoziabili. Uno riguarda la sua purezza: oggi secolo XXI le ragazzine, le donne formate, non possono permettersi non diciamo di prendersi delle libertà, ma neanche di subire violenza sessuale: senza che il padre e i parenti ritengano inevitabile ucciderle, siano esse adulte o anche ragazzine.

Sei dodicenne, ti hanno violentata miliziani del Daesh? Non dire niente a nessuno, zero, oppure dipende da chi ti è toccato come genitore, uno capirà che non hai colpa, un altro ti darà la morte, è la cultura di casa, ancora oggi così, fra musulmani e anche cristiani. Il tema è un intreccio di luce e frustrazioni aggravato dal fallimento personale dei maschi-capofamiglia, orfani di lavoro, soldi, dignità, tutto.

La società non crede alle donne violentate: rischiano anche la beffa dell’uccisione riparatrice. Si impara molto presto a mantenere i segreti: non ti esibisci, non lo dici in classe, la tua vita privata non gira sui gruppi, non viaggia sulla bocca di tutti: non puoi, è questione di vita e morte.

Non vedrai mai per strada o in un locale due che scambiano effusioni, non si può, è un’infrazione grave, gli altri clienti si alzeranno, il gestore ti porterà il conto non richiesto, in quel caffè la tua famiglia non sarà più gradita. L’ampiezza del fenomeno delle violenze sessuali in piazza non ha spazio: diversamente che da noi, qui non sentirai parlare, non leggerai mai di una violenza avvenuta.

I rapporti prematrimoniali avvengono eccome, più consapevolmente perché richiedono una gestione da colpo in banca, non è roba per ragazzini, quando lo fai sei una donna, un uomo fatto. Chiaro, guai se si sa. Se si viene a sapere la società provvede in due modi: ferma le voci, agisce privatamente.

L’ordine sociale, l’onore familiare, sono ripristinati con fermezza draconiana. Sei stata con qualcuno? Se muori, resterà un fatto privato. Sei incinta? Le donne ti salveranno con gli spilloni. Puoi tenere la creatura, se qualcuno ti sposa, a volte si accetta, dipende dal padre, e comunque non puoi esitare, il matrimonio riparatore deve avvenire molto presto, prima che la pancia si veda, altrimenti i vicini, immaginiamo il disonore! l’onore è tutto, senza in Siria non vivi.

Per alleviare le portatrici di queste storie ci vorrebbe che? maschi diversi, un’Europa attenta, una geopolitica meno barbara, una chiesa di Roma più coraggiosa, un rinnovato dialogo musulmano cristiano, un nuovo Pannella? Come le nostre due a passeggio, le donne tacciono, asciugano le lacrime, tentano strategie per affrancarsi, falliscono generalmente, oppure no: si rialzano e vanno avanti, organizzate, la giornata affaccendata, senza un approdo a Roma Amsterdam Montreal, una nuova generazione di traumatizzate rialzate: il successo è loro, molto prima di toccare terra a Crotone.

Domandiamoci chi sono, che portano in cuore, le siriane che arrivano in Europa (le iraniane, afghane), con che struttura emotiva, come è possibile che solo una parte ceda alla depressione, entri in criticità psichica: che attributi consentono alle più di inserirsi? dove hanno trovato le risorse per farsi terapia in casa? tragedia aggiunta a tragedia, chi da noi è capace di tanto?

Le organizzazioni che a vario titolo contribuiscono all’accoglienza di queste persone sono ben consapevoli del rischio di non adattamento, la necessità di seguire le persone anche e soprattutto quando gli aspetti legali e logistici sono superati. Coinvolgendosi in questa realtà, GasMuha Empowerment Project sta ricevendo moltissime richieste di intervento, ad alcune delle quali darà risposta.

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