di Virginia Villa
Incrociare la propria storia con una più grande e diventare così un esempio per le giovani generazioni. Felicia Impastato avrebbe fatto volentieri a meno delle battaglie che ha dovuto combattere nella sua vita.
Eppure quella piccola donna ha saputo dire di no alla mafia, portando avanti con coraggio l’idea di libertà e giustizia intrapresa dal figlio Peppino, ucciso il 9 maggio del 1978, nello stesso giorno della morte di Aldo Moro. Una lotta, quella della signora Bartolotta Impastato, che intraprese proprio per impedire al mondo di dimenticare il sacrificio di quel ragazzo che in tutti i modi fece sentire la sua voce contraria alle logiche della criminalità organizzata.
IL MATRIMONIO CON LUIGI IMPASTATO
Nel 1947 si sposa con Luigi Impastato, uomo appartenente ad una famiglia di piccoli allevatori legati alla mafia locale: “Io allora non ne capivo niente di mafia, altrimenti non avrei fatto questo passo”.
L’affiatamento con il marito dura molto poco. Le liti con Luigi Impastato iniziarono fin da subito quando il marito cercò di tenerla all’oscuro delle sue attività. Invece di deprimersi e di rassegnarsi, Felicia Impastato fece sentire la sua voce e intimò al marito di non legarla in alcun modo ai criminali con i quali lavorava: “Stai attento, perché gente dentro casa non ne voglio. Se mi porti qualcuno dentro, che so, un mafioso, un latitante, io me ne vado da mia madre”. Proprio per questo motivo, Felicia non sopporta l’amicizia del marito con Gaetano Badalamenti, diventato capomafia di Cinisi dopo la morte di Manzella, e litiga con Luigi quando vuole portarla con sé in visita in casa dell’amico. Il contrasto con il marito si acuirà quando Peppino inizierà la sua attività politica.
IL LEGAME CON IL FIGLIO PEPPINO
Felicia non si legò al figlio solo perchè sangue del suo sangue, ma anche perchè riconosceva in lui un ideale di giustizia che per troppo tempo aveva abbandonato la sua casa.
Pur condividendo le sue idee, intravedendo i pericoli che stava correndo il figlio, più volte aveva cercato di dissuaderlo dal proseguire il suo impegno civile e politico. Non ci riuscì, e forse è stato meglio così perchè altrimenti oggi non si parlerebbe di Peppino, di Felicia e non si avrebbe la libertà di gridare che “la mafia è una montagna di merda”, come scrisse Peppino sul giornale “L’idea socialista”.
L’EREDITA’ DI PEPPINO
Il 9 maggio del 1978 vennero ritrovati i resti di Peppino, fatto uccidere attraverso una potente esplosione. Felicia dopo alcuni giorni di smarrimento decide di costituirsi parte civile e da quel momento dedicò la sua vita a ricordare suo figlio. Oggi accoglie in casa le persone che condividono lo stesso ideale di giustizia e libertà del figlio e racconta la sua storia e quella della sua famiglia.
LA STORIA DI PEPPINO E FELICIA IMPASTATO
In molti decisero di rendere omaggio al coraggio di Peppino Impastato e alla forza della madre Felicia Impastato. Nel 2000 uscì il film “I cento passi”, diretto da Marco Tullio Giordana, con la bellissima colonna sonora dei Modena City Ramblers. Nel 2016, invece, Gianfranco Albano ci ha presentato un film documentario incentrato sulla vita di Felicia Impastato dopo l’uccisione del figlio.
Grazie a Felicia Impastato è stato possibile scrivere una pagina importantissima della nostra storia e mi piacerebbe ricordarla attraverso le parole che il poeta Umberto Santino dedicò a Felicia nel 1979:
“Questo non è mio figlio. Queste non sono le sue mani, questo non è il suo volto, questi brandelli di carne non li ho fatti io. Mio figlio era la voce che gridava nella piazza, era il rasoio affilato dalle sue parole, era la rabbia, era l’amore che voleva nascere, che voleva crescere. Questo era mio figlio quando era vivo, quando lottava contro tutti, mafiosi, fascisti, uomini d’onore, che non valgono neppure un soldo, padri senza figli, lupi senza pietà. Parlo con lui da vivo, non so parlare con i morti. L’aspetto giorno e notte, ora si apre la porta, entra, mi abbraccia, lo chiamo, è nella sua stanza a studiare, ora esce, ora torna, il viso nero come la notte, ma se ride è il sole che spunta per la prima volta, il sole bambino. Questo non è mio figlio, questa bara piena di brandelli di carne non è Peppino: qui dentro ci sono tutti i figli non nati di un’altra Sicilia”.