di Enzo Biffi
Certi giorni dovrebbero avere un bollo rosso ben visibile sul calendario. Una specie di allarme anche se non specificato, anche se generico. Un meteo annunciante sventure, magari vaghe, ma che ci lasci almeno il monito di procurarci un ombrello, piccola umana illusione di protezione anche sotto un eventuale uragano.
A Flavia, invece, quel mattino deve essere sembrato solito, rituale, forse stancamente banale. Nessun cielo nero ma nemmeno di un qualche azzurro speciale, forse solo un freddo ambiguo e inatteso.
Nel richiudersi alle spalle la piccola e ordinata casa di giovane donna sola, il pensiero corre a riassumere gli impegni quotidiani e forse, anche se solo per un attimo, verso il calore che le riempie la vita, fatta di belle idee, buoni amici, bei sogni e giorni spesi nella giusta direzione.
Eppure ecco: una piccola ombra appare improvvisa a disegnare appena la pelle, un tenue livido in superfice, una macchia nera nell’anima, freddo che si fa glaciale.
E allora fin da subito serve il coraggio che non sai d’avere per telefonare a tua madre, quella piccola donna che d’improvviso torna ad essere gigante, per dirle che deve ritrovare in fondo all’anima la stessa forza di un altro parto. Che ancora una volta deve essere pronta ad accogliere il dolore, con l’audacia che sanno avere le donne ogni giorno, per infiniti giorni.
Il seguito è una storia di corsie asettiche, di resistenza, di dolore per compagnia, paura e speranza che fanno a botte nello stesso istante.
Anni di stanze vuote riempite solo di dottori da ascoltare e infermieri a cui affidarsi. Macchine infernali ma che promettono il paradiso, e preghiere che si strozzano in testa prima che in gola.
E così fu leucemia sconfitta prima da una grande tenacia, e dopo da un trapianto di midollo.
E fu vittoria ma solo apparente. Perché a quel destino affamato di sciagura ancora non bastava quella prova. Un’altra sfida doveva appagarne la voracità crudele. Così venne il fiato corto, sempre più corto, con quell’ossigeno che sembrava il prosciugarsi del mare e la salvezza che dovette passare da due polmoni nuovi.
E immagino che per Flavia fu straordinario scoprirsi ancora capace di tale resistenza per fare di ogni respiro un assaggio di immenso, di ogni boccata il sapore dell’infinito, di ogni sospiro il sapore del paradiso.
Così Flavia torna a casa, il mondo lo trova quasi uguale, con quella madre ormai anziana come una quercia secolare stanno ancora li a farsi ombra, a farsi compagnia, a darsi grazia, incredule tutte due di come si possa vincere anche il freddo glaciale e di come ci sia ancora un po’ di sole anche per loro.