di Virginia Villa
Non esiste una definizione unica di mafia perchè ci sono elementi diversi che caratterizzano le differenti mafie. Riconoscere questi elementi e dare loro importanza nell’analisi generale del discorso è fondamentale per riuscire ad approcciarsi al meglio al fenomeno e, di conseguenza, riuscire a fermarlo.
I legami di sangue della ‘ndrangheta
Se c’è un aspetto che rende unica la ‘ndrangheta, che la differenzia dalle altre mafie e che la fa essere impenetrabile, riguarda i legami di sangue considerati assolutamente sacri dalle ‘ndrine e, proprio per questa loro natura, impossibili da spezzare. Una persona che sceglie di collaborare con la giustizia e di ribellarsi al sistema mafioso nel quale è nata, non avrà contro solo i mafiosi che ha denunciato, ma avrà contro tutto il paese, compresa la sua stessa famiglia. Questo è quello che è successo a Maria Concetta Cacciola.
La famiglia
Maria Concetta Cacciola nasce in una famiglia di mafia. Suo padre, Michele Cacciola, è il cognato del boss di Rosarno, Gregorio Bellocco. La sua è una potente famiglia di ‘ndrangheta osservante delle regole dell’organizzazione, tanto che anche il fratello Giuseppe segue le orme del padre.
Un criminale della zona di Rosarno, Salvatore Figliuzzi, vuole prendere parte alla ‘ndrina dei Bellocco perchè era una realtà mafiosa molto attraente, ma entrare a farne parte è impossibile senza avere legami familiari riconosciuti. Nel 1993, quando Maria Concetta Cacciola ha solo 13 anni, Salvatore Figliuzzi chiede la mano della ragazza al padre che accetta senza remore.
Non è un matrimonio felice, anzi, da quel momento in poi la vita di Maria Concetta diventa un inferno. Il marito è solito utilizzare atteggiamenti violenti e crudeli nei confronti della giovane moglie, ma Maria Concetta non dispone di una via d’uscita; un giorno riferisce delle violenze al padre e questo, anziché mostrarsi preoccupato per la figlia, le urla in faccia che quello era suo marito e che se lo sarebbe dovuta tenere per tutta la vita.
La segregazione
Il 2002 si apre uno spiraglio di speranza per Maria Concetta perchè il marito viene arrestato e portato in carcere, ma è solo il preludio di una vita ancora più triste e dolorosa perchè le regole del clan vietano alle donne con i mariti in carcere di avere una vita pubblica. Così Maria Concetta viene rinchiusa in casa con i suoi figli, isolata da tutto e impossibilitata ad aver contatti con il mondo esterno, se non per accompagnare i figli a scuola e fare qualche piccola commissione per sostentare la famiglia.
Questa ragazza intelligente e vivace si sente in gabbia, si rende conto poco alla volta che quella vita le sta stretta, che il mondo ha tante cose belle da offrire e, soprattutto, capisce di non voler privare i suoi figli della possibilità di riscatto.
Testimone di giustizia
L’opportunità di evasione le si presenta l’11 maggio 2011 quando viene convocata in questura per rispondere di un’azione sconsiderata commessa dal figlio più grande. Al cospetto dei carabinieri, Maria Concetta dichiara di voler denunciare la sua famiglia rendendosi disposta a raccontare tutto quello che sa. Riesce ad avere tre incontri con gli inquirenti durante i quali spiega i segreti della sua famiglia e questi capiscono presto che le informazioni che sta fornendo sono preziose per la lotta alla mafia e, soprattutto, rappresentano un pericolo per la vita della donna. Il 30 maggio 2011 Maria Concetta diventa testimone di giustizia, finendo nel programma di protezione e quindi allontanata da Rosarno.
L’amore per i figli
Maria Concetta è finalmente libera e determinata a collaborare con la giustizia, ma un aspetto la lega ancora alla sua famiglia: l’amore per i suoi figli che sono rimasti a Rosarno, affidati alla madre di Maria Concetta. In un momento di nostalgia decide di chiamare i suoi familiari per poter parlare con i figli, ma questi la ricattano dicendo che se non fosse tornata a casa, ritrattando tutto quello che aveva riferito agli inquirenti, non avrebbe più rivisto i figli.
Il ritorno a Rosarno
Nonostante la sua forza di volontà, le pressioni della sua famiglia diventano insopportabili, così il 9 agosto torna a Rosarno e accetta di incontrare gli avvocati assunti dai genitori al fine di firmare la ritrattazione che, alla luce degli eventi successivi, rappresenta una condanna a morte. Dieci giorni dopo, infatti, Maria Concetta viene trovata in fin di vita. I genitori affermano subito che la figlia, pentita del tradimento commesso, ha ingerito una grande dose di acido muriatico causandole una terribile ustione alla bocca.
C’è da fare una precisazione. I metodi utilizzati dai mafiosi per eliminare i “nemici” sono direttamente proporzionali allo sgarro commesso. Per questo motivo, il suicidio di Maria Concetta non convince gli inquirenti che ritengono la questione dell’acido muriatico una prova concreta della colpevolezza della sua famiglia che ha ucciso la figlia bruciandole la bocca che aveva parlato troppo.
La consapevolezza di Maria Concetta Cacciola
Sono due gli elementi che colpiscono di più di tutta questa storia: la consapevolezza di Maria Concetta Cacciola e l’amore per i suoi figli. Durante una telefonata con un’amica, Maria Concetta dice una cosa terribile: “So cosa succede. Io torno, mi fanno ritrattare e poi mi ammazzano, ma io ho paura a tornare, però devo farlo per i miei figli”.
Questa telefonata, utilizzata come prova in tribunale, e le vicende familiari riferite da Maria Concetta, portano presto all’arresto e alla condanna di tutti i membri della sua famiglia, compresi i due avvocati che hanno costretto la giovane a ritrattare.
Maria Concetta Cacciola non è morta invano. Innanzitutto rappresenta un grande esempio di coraggio per tutte quelle donne vittime di familiari mafiosi, ma soprattutto, la sua memoria non è stata cancellata; in suo onore sono state organizzate molte iniziative che collegano il Nord al Sud e che raccontano il suo impegno quotidiano per sconfiggere la cultura di morte della ‘ndrangheta.