Donne, che storia! Onorina Brambilla

di Virginia Villa

“…sono capitata in mezzo ad un blocco , senza possibilità di fuga.

Avevo parecchie pistole da recapitare. “Stavolta sono fregata”, pensai.

Misi un piede a terra e si avvicinò un “sanmarchino” che volle fortunatamente fare il galante e mi disse: “ Vai bella”. Mi avviai mentre mi tremavano le gambe.”

Onorina Brambilla, o meglio “Nori Brambilla”, come preferiva farsi chiamare, è nata e cresciuta in una casa di ringhiera ai Tre Furcei, un quartiere operaio di Lambrate, a Milano. Il padre, Romeo Brambilla, era un operaio specializzato alla Bianchi, famosa fabbrica di biciclette. Quando rifiutò di prendere la tessera del partito fascista, venne licenziato e per questo la famiglia visse anni di povertà e miseria. Nel 1935, con la guerra di aggressione all’Abissinia, viene a mancare la mano d’opera e Romeo viene assunto alla Breda.

La madre, Maria, si occupò di una parte importante dell’educazione della figlia, quella riguardante la coscienza critica. Nonostante fosse partigiana – il suo nome di battaglia negli anni della Resistenza sarà Tatiana – non disse mai a Onorina che il fascismo era il male, ma la esortò sempre a mettere in discussione la propaganda del regime. Onorina seppe ricevere questa grande eredità della madre e non si abbassò mai ad assumere per vero quello che le veniva proposto.

L’ADOLESCENZA E LA FORMAZIONE

Onorina mostrò sempre grande interesse per lo studio, con enorme piacere della madre che desiderava per lei un’istruzione che la portasse lontano dal duro lavoro della fabbrica.

Benché questo desiderio e le ottime qualità di Onorina, i genitori poterono iscriverla solo ad un corso trimestrale di stenodattilografia, grazie al quale all’età di quattordici anni venne assunta dalla Paronitti come impiegata; “Non arrivavo neanche alla scrivania e i colleghi mi chiamavano Topolino, dovevano mettermi dei cuscini sulla sedia per alzarmi”.

Onorina lavorò in quell’azienda per quattro anni, poi il suo spirito ribelle – quello che l’avrebbe condotta a diventare una delle donne più importanti della Resistenza – la portò ad avere un’accesa discussione con il suo capo, il quale la licenziò senza remore. Lei non si perse d’animo e trovò presto un nuovo impiego in una ditta che produceva binari. Il suo ruolo era quello di compilare l’inventario, ma la sua indole curiosa la portò presto ad annotare tutto quello che succedeva intorno a lei, a stringere rapporti gli operai e a riconoscere chi era fascista e chi no.

Capì presto che l’istruzione è la chiave per raggiungere obiettivi concreti, così iniziò a frequentare il Circolo Filologico di via Clerici nel quale circolavano ancora molti libri vietati dal regimi e preziosi per la sua formazione.

IL PRIMO COMIZIO DI ONORINA BRAMBILLA

Le cose iniziarono a cambiare nel 1943; la fame iniziava a farsi sentire, la gente non ne poteva più e la guerra iniziò a togliere il velo a tutte le menzogne della propaganda di regime. La caduta di Mussolini portò grande confusione: festa e paura per il futuro erano un tutt’uno e mentre si utilizzavano i carri armati per disperdere la folla, Milano venne bombardata.

Fu proprio in questo periodo che Onorina Brambilla non riuscì a trattenere la sua rabbia, sentimento forte mosso dal desiderio di un’Italia libera. Salì su un tavolo del rifugio che divideva con tantissime altre persone e – noncurante della presenza di alcuni fascisti – si mise a gridare quello che sarà il suo primo comizio pubblico:

“È ora di finirla con questa guerra! Secondo me sono state le donne a dare inizio alla Resistenza… la loro partecipazione fu dovuta a motivazioni personali; a differenza di molti uomini che scelsero di andare in montagna per sottrarsi all’arruolamento nell’esercito di Salò, nessun obbligo le costringeva ad una scelta di parte; è stata anche l’occasione per affermare quei diritti che non avevamo mai avuto, mai come in quei mesi ci siamo sentite pari all’uomo…”

L’INIZIO DELLA LOTTA E DELL’IMPEGNO NELLA RESISTENZA

Dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, assieme alla madre entrò a far parte dei Gruppi di difesa della Donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà, un’organizzazione femminile di massa nata nel novembre 1943 a Milano. Fu la sua amica e compagna di lotta Francesca Ciceri a presentarle “Visone”, ossia Giovanni Pesce, comandante del 3° Gap Egisto Rubini, che sarebbe diventato suo marito. Fu in questo momento che assunse il nome di battaglia “Sandra” e in sella alla sua bicicletta recapitava ordini, nascondeva e trasportava pistole ed esplosivi.

LA PRIGIONIA

Il 12 Settembre 1944, a ventuno anni, tradita da un partigiano passato al nemico venne catturata dalle SS nei pressi del Cinema Argentina, nel cuore di Milano. Iniziò la prigionia, la sofferenza, il distacco dalla famiglia, la tortura e la violenza fisica subita dalle SS nella Casa del Balilla di Monza, trasformata in carcere. Gli interrogatori erano terribili: vollero a tutti i costi sapere dove fosse Visone, ore e ore di percosse e torture. Ma Onorina non parlò mai, nessuno dei suoi compagni fu compromesso.

Dopo il passaggio in un carcere di Monza e poi a quello di San Vittore, Onorina Brambilla venne imprigionata a Bolzano in un campo di transito. Qui lavorò prima alla sartoria del campo, in un ambiente stretto e soffocante, poi riuscì a farsi assegnare ai lavori esterni. I tedeschi, prima di fuggire, le rilasciarono persino un documento che attestava la prigionia, grazie al quale riuscirà a dimostrare la sua deportazione.

Onorina non volle attendere l’arrivo degli americani, troppa era la gioia nell’apprendere che Milano era stata finalmente liberata. Insieme ad alcuni compagni si mise in cammino sotto la neve, ricevendo un po’ di cibo dai contadini incontrati lungo la via.

LA LIBERAZIONE

Il 7 maggio 1945 mise finalmente piede a Milano dove poté assistere emozionata alla manifestazione dei Partigiani e, soprattutto, riabbracciare Giovanni Pesce con il quale si sposò due mesi più tardi.

Onorina e Giovanni non avevano denaro, ma quello che possedevano era  molto più prezioso: la libertà e la speranza per una nuova vita, quella stessa vita per la quale avevano lottato a lungo e rischiato la morte.

IL LIBRO “IL PANE BIANCO”

Se volete approfondire l’incredibile vita di questa donna coraggiosa che ha contribuito alla liberazione dell’Italia, vi consiglio la sua autobiografia “Il pane bianco”, pubblicata da Arterigere nel 2010, dalla quale sono state prese le citazioni che trovate in questo articolo.

 

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