Donne, che storia! Rita Atria

Rita Atriadi Virginia Villa

All’interno della lunga storia della mafia e delle conseguenze sanguinose e dolorose che questa ha avuto, emerge una figura di donna che, per i risvolti che la sua vita ha avuto, rattrista e  commuove più di altre.

La donna in questione è Rita Atria e per la sua forza e il suo coraggio è diventata il simbolo della lotta alla mafia e, ancora di più, della volontà di riscatto. Rita Atria sceglie, all’età di diciotto anni, la morte come segno di protesta contro i soprusi mafiosi e come testimonianza del desiderio di emancipazione di un intero popolo.

La vita

Rita nasce il 4 settembre 1974 a Partanna, in Provincia di Trapani, da Vito Atria e Giovanna Cannova. La madre ha sempre assunto un atteggiamento freddo, distaccato e ostile nei confronti della figlia, probabilmente perchè non era frutto di un amore sincero, ma di una violenza e sottomissione, tipiche di alcune famiglie mafiose. Con il padre, invece, Rita ha avuto fin dalla tenera età un rapporto speciale e privilegiato ed anche per questo per lei è stato molto difficile, dal punto di vista emotivo, collaborare con la giustizia e scoprire un lato completamente nuovo e terribile del padre.

Le origini

Vito Atria era un pastore e proprietario di sette ettari coltivati a vite e ulivo, ma apparteneva anche alla cosca mafiosa del trapanese. Si può dire che fosse un mafioso “vecchio stampo”. Si mostrava disponibile ad aiutare gli altri pastori a ritrovare il bestiame smarrito, ma in realtà era lui stesso a rubare le pecore alla “concorrenza” per usarle come riscatto attraverso il pagamento di un pizzo. Anche se era un mafioso, Vito Atria non si omologava al pensiero del clan e in più di un’occasione aveva manifestato il suo disaccordo riguardo certe decisioni. Una di queste gli fu fatale: nel 1985 viene ucciso per essersi opposto all’ingresso della droga a Partanna. Rita Atria all’epoca aveva solo undici anni.

Il fratello di Rita, Nicola Atria, di dieci anni più grande della sorella e anch’egli affiliato al clan mafioso del padre, tentò subito di vendicare la morte del padre. Cercò di rintracciare i killer, senza rendersi conto che gli stessi assassini erano le persone con le quali stava stringendo affari. Quando capì la situazione era troppo tardi: sbagliò l’agguato e venne ucciso nella pizzeria che gestiva a Montevago.

L’esempio di Piera Aiello

Questi fatti sono importanti per capire l’iter che ha condotto Rita Atria a collaborare con la giustizia. Dopo la morte del fratello, infatti, la cognata Piera Aiello, anch’essa importante figura per la lotta alla mafia, decide di denunciare i killer del marito Nicola e di collaborare con la polizia. Per questa azione è costretta a lasciare la sua terra e a trasferirsi, sotto copertura, a Roma.

L’incontro con Paolo Borsellino

Rita Atria sente il bisogno di fare qualcosa, non può più stare a guardare inerme uno Stato mafioso che distrugge le vite di coloro che le stanno accanto. Segue l’esempio di Piera Aiello e si reca a Marsala dove viene ricevuta dal Procuratore Paolo Borsellino al quale rivela tutti i segreti della cosca cui appartenevano il padre e il fratello. Le sue rivelazioni portarono all’arresto e alla condanna numerosi mafiosi e il prezzo che dovette pagare fu molto alto: si ritrovò completamente isolata dal paese nel quale viveva, tanto che anche la madre arrivò a rinnegarla. Questo atteggiamento, che noi consideriamo terribile, è in realtà una prassi molto triste: per molti è considerato un disonore non prendere le distanze da chi ha assunto una condotta ribelle, in contrasto con l’omertà che regna nei paesi soggiogati dalla mafia. Per questo e per la sua incolumità, venne trasferita a Roma insieme alla cognata.

Il gesto estremo

Morti il padre e il fratello, rifiutata dalla madre e ripudiata dai cittadini di Partanna, Rita Atria trovò in Paolo Borsellino una figura paterna e a lui si legò molto. Ma per lei la vita aveva ancora in serbo dolori. Il 19 luglio 1992 Paolo Borsellino viene ucciso nella strage di Via D’Amelio e Rita perde ogni speranza perchè vede il suo sogno di riscatto e giustizia spezzato. Una settimana dopo, il 26 luglio 1992, all’età di diciotto anni decide di togliersi la vita per il dolore, gettandosi dal settimo piano del palazzo nel quale era stata tenuta al sicuro dalla polizia.

La madre non volle lasciarla riposare in pace nemmeno dopo la morte. A distanza di qualche mese venne scoperta a prendere a martellate la tomba della figlia. Per questo gesto scontò un mese di carcere.

Prima di morire Rita lasciò scritta nel suo diario questa considerazione:

Prima di combattere la mafia devi farti un esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combatterla nel giro dei tuoi amici. La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci. Bisogna rendere coscienti i ragazzi che vivono nella mafia che al di fuori c’è un altro mondo, fatto di cose semplici ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perchè sei figlio di quello o perchè hai pagato per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare? Se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo.

La siciliana ribelle

Rita Atria ha utilizzato il suicidio come strumento di protesta. Era certa che con la morte di Borsellino sarebbero venuti a prenderla e l’avrebbero uccisa come hanno fatto con il padre e con il fratello. In questo modo tutto sarebbe finito, nessuno avrebbe più parlato e tutto sarebbe tornato come prima. Il gesto di Rita Atria è stato un gesto eclatante e per questo è rimasto nella memoria. La sua azione è stata ribellione pura e questo tratto meraviglioso della sua breve vita è stato celebrato anche in un film di Marco Amenta intitolato “La siciliana ribelle”.

Enzo Biffi, artista e redattore de Il Dialogo di Monza, ha composto una canzone dedicata a Rita Atria.

In questo video il gruppo musicale Banda Larga Befolk esegue la “Canzone per Rita”  

 

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