di Eleonora Duranti
Una donna non è mai sempre e solo una donna.
Una donna è figlia. Sorella. Moglie. Madre. Cugina…
Una donna è bambina. Fanciulla. Vecchia…
Filosofa. Tessitrice. Vestale. Schiava…
Imperatrice.
Già…
Imperatrice.
Una donna può essere tante cose, avere tanti volti, vestire tanti panni. Le è sufficiente capire quale abito le calzi meglio e quale cammino le sia meno tortuoso.
Non ha che da aguzzare l’ingegno e concentrarsi sull’obiettivo.
Una donna è abituata a rimboccarsi le maniche. A lottare con le unghie e con i denti per emergere dall’ombra dove il mondo degli uomini l’ha relegata, con la sua superbia e senza alcuna galanteria.
Sì, una donna può accaparrarsi le attenzioni che le spettano.
Io l’ho fatto.
Ho avuto l’ardire di scrollarmi il fango di dosso e il coraggio di ribaltare l’ordine delle cose.
È vero, il destino mi ha supportata…
E Dio mi ha sostenuta.
Ma, se mi fossi uniformata alle tradizioni, se mi fossi rassegnata agli sgambetti dell’esistenza, se mi fossi privata della mia luce, avrei trascorso una vita miserabile.
Da miserabile.
Se non mi fossi concessa una possibilità, non avrei mai posto il deretano su uno scranno dorato.
E nessuno avrebbe rammentato il mio nome.
Ho scommesso su me stessa e la Storia mi ha dato la mano vincente…
Sono nata a Costantinopoli, intorno al 500 dopo Cristo. Mio padre era custode all’Ippodromo, mentre mia madre si esibiva durante gli spettacoli.
Le mie sorelle ed io, infatti, siamo state iniziate presto alla danza e alla recitazione e, quando, alla morte di nostro padre, siamo finite in rovina, non abbiamo esitato a ornarci di ghirlande e, quali belle e giovani supplici, a gettarci in pasto ai lupi.
Eravamo boccioli di rosa pronti a fiorire, scalpitavamo per afferrare e governare le redini della vita; non ci saremmo tirate indietro davanti a nulla, pur di ripulirci dal letame delle scuderie e risplendere al sole.
Non mi pento delle mie scelte né delle mie azioni.
Sono una donna e una donna sa quando chinare il capo e calpestare l’orgoglio.
Se vuole il potere.
Il potere non è per chiunque.
Non è per tutti gli uomini, figurarsi per tutte le donne!
Io sono stata un’eccezione.
Niente, però, mi è stato regalato. Spesso, io stessa mi sono paragonata a una delle bestie di mio padre…
Ho viaggiato parecchio. Ho avuto un figlio, Giovanni, e poi una figlia. Mi sono mantenuta con ciò che mi riusciva meglio, con le riprovevoli arti ereditate da mia madre.
L’incontro ad Antiochia con Macedonia, una mia… collega, è stato decisivo.
È stato il perno attorno a cui sarebbe ruotato, poi, il nastro del mio, sfavillante, futuro.
Grazie a Macedonia, ho conosciuto Giustiniano.
Di vent’anni più anziano di me e nipote di Giustino I, Giustiniano mi ha amata dal primo momento in cui mi ha vista ed io, benché ambiziosa e calcolatrice, ho fatto altrettanto.
Mi ha concesso il titolo di patrizia e mi ha sposata modificando addirittura le normative sul matrimonio.
Grazie alla mia intercessione e alla mia esperienza, molte donne, oggi, possono riacquisire la propria dote se divorziate oppure avere diritto di proprietà sui doni e sul patrimonio del marito defunto se vedove.
La mia strada è stata un susseguirsi di successi; successi che hanno surclassato quelli dei più acclamati campioni dell’Ippodromo.
Morto Giustino, il primo giorno di agosto del 527, Giustiniano è stato incoronato imperatore ed io mi sono seduta sul trono, al suo fianco.
La sanguinosa rivolta di Nika è stata la nostra prima prova.
Giustiniano non è mai stato un animo impavido, dal pugno di ferro; piuttosto, è un carattere mite, gentile. Tra i due, sono io la belva che scende in campo contro i nemici…
È questa, la mia natura.
Così, mi sono affidata all’abilità strategica di Narsete e Belisario e i ribelli hanno pagato cara la loro insolenza. Ristabilito l’equilibrio, ho ordinato la ricostruzione della magnifica basilica di Santa Sofia e comandato ponti e acquedotti per rendere la capitale più grandiosa della Città Eterna.
Fare la mia parte non è stato un gioco. Una pantomima. Seppur abbia garantito in prima persona per quelle povere anime che, attrici sulla carta, nella realtà sono spesso tacciate come meretrici.
Sarà che “attrici” e “meretrici” suonano simili, all’orecchio sordo degli uomini…
Ingiustizie, lotte e pressioni sono state il mio pane quotidiano per decenni e non nascondo di essermi sporcata le mani per resistere sul mio piedistallo.
Quando provieni dal Niente, al Niente ti rifiuti di tornare.
Poiché il Niente ti spaventa…
Ti umilia.
Ho additato, processato, condannato chi avrebbe potuto essermi d’intralcio, chi avrebbe potuto farmi cadere.
Non ho fatto distinzioni. Né favoritismi.
A mia discolpa, comunque, ho agito sempre per il bene dell’Impero, per il bene della sua gente.
Per il bene delle sue donne. A maggior ragione, se sfortunate e segnate da una cattiva stella.
Io, alla fine, sono stata privilegiata e, adesso che la mia dipartita è vicina, posso affermare di aver vissuto.
La mia, è stata una bella vita.
Una vita ricca.
Piena.
Per questo me ne vado serena.
Dio mi ha ammantata di porpora, mi ha sottratta persino alla peste!
Gli sono grata…
E sono grata alla Storia.
Non era scontato che io, una donna, un’attrice, una prostituta, salissi sul gradino più alto d’Oriente.
E, invece, sono stata all’altezza delle aspettative.
Anzi, le ho superate, battendomi per me stessa e per le mie compagne, per noi, discendenti di Eva che il mondo schiaccia e alle quali è solito tappare le ali.
Non ho dubbi che, d’ora in avanti, il mio nome verrà associato al mio titolo.
Me lo merito.
Merito di non essere più soltanto Teodora.
Ma Teodora Augusta.