di Francesca Radaelli
In occasione della festa della donna, abbiamo deciso di ripartire con la rubrica dedicata all’altra metà del cielo. La rubrica dal titolo “Donne, che storia!” inizia con il ricordo di Franca Viola, una ragazza quasi sconosciuta che, negli anni ’60, ha profondamente cambiato i costumi e le tradizioni di un sud Italia legato ad un codice dell’onore arcaico e maschilista.
“Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce”.
A pronunciare queste parole è Franca Viola una ragazza di diciassette anni. O meglio, una donna che davvero ha fatto la storia del nostro Paese.
Nel 1966 Franca Viola è la prima in Italia ad opporsi al matrimonio riparatore. Ossia a quel dispositivo legale, previsto dal codice penale italiano e in vigore fino al 1981, che prevedeva la possibilità di ‘rimediare’ a uno stupro, sposando colei che ne era stata vittima.
Nata e cresciuta ad Alcamo in provincia di Trapani, nella Sicilia contadina e ancora ‘patriarcale’ degli anni 50, poco più che adolescente Franca si fidanza con Filippo Melodia, con il consenso dei genitori. Quando però il ragazzo, nipote di un noto mafioso della zona, viene arrestato per furto e associazione mafiosa, il padre di Franca, Bernardo, interviene e rompe il fidanzamento. Ma Melodia non ci sta. Uscito dal carcere, mette in atto una serie di atti intimidatori verso Bernardo Viola. Danneggia le proprietà agricole della famiglia, incendia una vigna, minaccia apertamente l’uomo con una pistola.
Il rapimento
E alla fine Melodia decide di rapire Franca. Un giorno si presenta a casa della famiglia Viola con altri uomini e la porta via con la violenza. Il rapimento dura una decina di giorni. La ragazza racconterà di essere rimasta senza mangiare per giorni e di essere stata stuprata dal suo rapitore. Intanto i parenti di Melodia contattano il padre di Franca per accordarsi sul matrimonio riparatore, la cosiddetta ‘paciata’. Fingendo di essere d’accordo, i genitori fanno intervenire la polizia, che riesce a liberare Franca. Il suo stupratore continua a confidare nel matrimonio riparatore, ma Franca e la famiglia Viola sono inamovibili: “Mia figlia non sposerà mai l’uomo che l’ha rapita e disonorata”, dichiara in un’intervista Bernardo Viola, che coraggiosamente si costituisce parte civile al processo.
Un processo difficile
E proprio il processo ha una vastissima eco mediatica: per la prima volta una donna si definisce pubblicamente ‘disonorata’. Franca Viola sta sfidando, nello stesso tempo, un codice dell’onore arcaico e maschilista, ma ancora saldamente radicato nella società siciliana, e il potere intimidatorio e pervasivo della mafia rappresentato dai Melodia. Ormai questa ragazza della campagna siciliana è un simbolo per l’Italia intera. Soprattutto per le donne in lotta per l’emancipazione.

Però la sfida non è facile: Franca è costretta a una semi clausura in casa, col presidio costante delle forze dell’ordine, la famiglia subisce minacce e ricatti. La difesa di Melodia la raffigura come ‘consenziente’ alla fuga d’amore, affermando inoltre che i due avessero già avuto rapporti sessuali prima dello stupro. Questo fatto, secondo la difesa, indebolirebbe notevolmente la posizione della ragazza. Non solo: la difesa richiede addirittura una perizia che accerti quando esattamente la ragazza abbia perso la verginità, se prima o dopo il rapimento. Per fortuna la richiesta è respinta dal giudice, ma è indicativa del tentativo di ‘rovinare’ la reputazione della donna che aveva osato dire di no. Alla fine Melodia viene condannato a 11 anni di prigione: le “usanze” sono un’attenuante.
Cosa accadde dopo
Secondo la mentalità dominante all’epoca, Franca ha perso l’onore. E’ ormai nei fatti una donna ‘svergognata’ e, in assenza di matrimonio riparatore, è destinata a rimanere zitella tutta la vita.
E invece due anni dopo Franca si sposa, non per riparazione ma per amore.

Solo 15 anni più tardi viene stralciato dal codice penale l’articolo 544 che affermava che in caso di stupro “il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato”. Devono passarne altri trenta perché nel 1996 lo stupro non sia più considerato dalla legislazione italiana un “delitto contro la moralità pubblica e il buon costume” , ma un crimine “contro la persona”.
Forse è anche colpa di questo ritardo storico se a volte, anche nel 2021, denunciare una violenza non è una cosa facile. Franca aveva tutta la famiglia a sostenerla: al momento del rapimento persino il fratellino più piccolo tentò di proteggerla aggrappandosi alle sue gambe. Spesso invece, anche oggi, le vittime di violenza sono – o si sentono – completamente sole.
Insomma, il coraggio di dire no, che questa ragazza ebbe oltre 50 anni fa, non appartiene solo alla storia d’Italia. Appartiene al nostro presente. Quello di oggi, 8 marzo, e quello di ogni giorno.