di Marco Riboldi
Non sembra un bel momento per la cultura occidentale.
Schiacciati da una pandemia che mette in crisi non solo la nostra salute, ma anche il nostro stile di vita, le nostre prospettive per il futuro, almeno a breve termine, le nostre sicurezze, vediamo incrinate tante colonne del nostro modo d’essere.
Il nostro passato, sul quale abbiamo orgogliosamente maturato la convinzione di aver prodotto una civiltà capace, quanto altre mai hanno fatto, di garantire dignità umana, benessere, sicurezza, viene continuamente infranto nei suoi simboli e nelle sue manifestazioni culturali da contestazioni accese.
Cadono statue, vengono cancellate o contestate pagine storiche della letteratura, la stessa lingua corrente viene indicata come strumento e luogo di discriminazioni ed ingiustizie.
Culture e religioni a lungo estranee sono non solo accolte e rispettate, come è giusto che sia, ma vengono esaltate quasi contro ogni nostra tradizione culturale, tanto che ogni mentalità differente trova spazio non accanto, ma al di sopra, se non al posto, di quelle più abituali nei nostri paesi.
Gli esempi sarebbero molteplici, ma basti pensare alla scomparsa di ogni riferimento al Natale nelle feste che si svolgono nelle nostre scuole o alla “prudenza” con cui si comunicano i fatti di cronaca nera che hanno come protagonisti persone di differente etnia o religione, mentre non si ha alcuna remora nell’esporre le malefatte, vere o presunte (chiedere al cardinale George Pell per informazioni), di chi in qualche modo fa parte della tradizione culturale europea o americana (sia latino americana che dell’America del nord).
Sembra che l’Occidente abbia sbagliato tutto, sembra, per dirla con Benedetto XVI, che sia giunto il momento in cui: “L’Occidente non ama più se stesso: della sua storia ormai vede soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è più grande e puro.” (il discorso del papa emerito poi prosegue con indicazioni per riappropriarsi di “ciò che è grande e puro”, non termina con questa amara costatazione).
Forse siamo stanchi, forse siamo vecchi, forse non abbiamo più voglia.
Forse non è vero!
Perchè tutto quello fin qui detto è sì una analisi pessimistica, ma credo, precisa, eppure non finisce qui.
Abbiamo ancora dentro di noi la forza di interrogarci e di reagire alle difficoltà e allo sconforto.
Se si osserva con attenzione e con un minimo di apertura alla speranza, si vede che motivi di rianimarsi davanti alle difficoltà presenti ci sono e sono molti.
Le conquiste della civiltà occidentale, dalla sua radice giudaico cristiana all’illuminismo, alla democrazia non sono passate invano.
Oggi paiono talvolta spente, un po’ in difficoltà davanti alle sfide del presente, ai radicalismi culturali e politici che si affermano in troppe occasioni.
Ma come sempre, i germogli sono difficili da estirpare, e poco alla volta tornano a dare frutto.
Si pensi alla grande consapevolezza della nostra comune responsabilità nei confronti del pianeta che in questi anni è tornata prepotentemente alla ribalta, risvegliando un protagonismo giovanile che sembrava spento dopo le fiammate degli anni sessanta e settanta del secolo scorso.
Come sempre c’è tanto da dire sull’aspetto un po’ ingenuo e semplicistico di taluni movimenti, ma i valori ci sono, e usciranno con rinnovata energia.
Certe affermazioni sui diritti individuali spesso travolgono i limiti che sarebbe opportuno tener presenti (penso a talune affermazioni sproporzionate sulla sessualità o sull’uso del linguaggio), ma si troverà un equilibrio, mentre nel frattempo alcuni principi saranno riaffermati.
Abbiamo fiducia nell’Occidente anche nella sua capacità di riformarsi senza tradirsi, possibilmente senza che si debbano affrontare gli immani sacrifici delle generazioni del ‘900. In fondo, cosa è stata la lotta contro le dittature fasciste nella seconda guerra mondiale, se non il riaffermare il desiderio di mantenere la grande tradizione di libertà e democrazia dell’Occidente?
Certo, i nemici sono insidiosi: penso soprattutto al consumismo e alla capacità di insinuarsi degli interessi commerciali dentro i cambiamenti di mentalità comune. Penso alla immense possibilità di condizionamento della mentalità che si cela negli strumenti di comunicazione di massa.
Penso alla travolgente forza delle “mode” intellettuali, per cui non si è più socialmente approvati se si pensano o si sostengono determinate posizioni.
E’ il cammino della civiltà, che già abbiamo percorso altre volte: abbiamo già visto altre decadenze e altri smarrimenti storici.
Ma arrivati al dunque, quando i valori devono essere misurati e valutati alla luce delle vere esigenze della persona umana, credo proprio che l’Occidente saprà ricordarsi di quanto nella sua storia c’è di grande e buono, e in questo troverà la forza di riconoscersi.
E allora anche gli errori del passato, che oggi tendiamo a proiettare anche sul nostro presente come una condanna inappellabile, anche i contributi delle altre culture, oggi o troppo temuti o al contrario mitizzati, saranno visti nella opportuna prospettiva storica e serviranno a costruire, non a distruggere il nostro progetto di civiltà.
28 ottobre 2020