Etna, terra di fuoco

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Dopo Siracusa eccoci alle pendici dell’Etna. Le foto di Stefania Sangalli testimoniano il fascino e la grandezza della natura con il suo inscindibile binomio caratterizzato da distruzioni e rinascite. L’Etna invita alla prudenza. E’ un vulcano ancora attivo e la visita impone il rispetto di alcune regole fra cui quella di visitarlo accompagnate da guide specializzate e da mezzi fuoristrada che in sicurezza portano  fino ai crateri.


Per salire la montagna occorre percorre una strada tortuosa di oltre 20 km che termina a un belvedere e da qui grazie alla funivia alla cima.

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Molto si è detto dell’Etna. Per gli antichi era il luogo ove i morti andavano a riposare. La mitologia greca trasformò il vulcano nel dio del fuoco e lo concepiva come la sede di un grande laboratorio metallurgico ove i ciclopi costruivano armi e saette per Zeus e gli Dei dell’Olimpo.


Anche la cristianità riporta un racconto che coinvolge sant’Agata. Un anno dopo il suo martirio, nel 252, gli abitanti dei paesi alle pendici dell’Etna utilizzarono, con successo, il velo della santa per fermare la lava che minacciava case e coltivazioni. Da quel giorno sant’Agata è anche la santa che protegge dai fulmini e dal fuoco.


L’Etna rappresenta la potenza della natura con la sua forza devastante e nel contempo il potere della fecondità, della vita, della rinascita, della trasformazione. Nei secoli piccole comunità hanno convissuto con il vulcano. Per l’uomo moderno sarebbe impossibile immaginare di edificare alle pendici di un vulcano lo sconsiglierebbero scienziati e direttive europee sulla sicurezza.

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La sicurezza, giustamente, è la parola d’ordine che sorregge qualsiasi progetto dell’uomo moderno. Per gli antichi, con metodi di calcolo diversi dagli attuali, il rischio aveva un altro significato: gli uomini che vivono alle pendici dell’Etna sono stati più accorti o forse più fortunati degli abitanti di Pompei e di altre città che hanno invece conosciuto l’ira devastante dei vulcani.

Fabrizio Annaro

Fotografie di Stefania Sangalli

 

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