di Carlo Rolle
Che cos’è la Edda di Snorri?
Buongiorno, amici lettori, ormai sapete che in queste recensioni dedicate alla collana “Biblioteca” di Adelphi vi presento libri molto diversi. Essi appartengono per lo più a due categorie: 1) i libri che mi sono piaciuti molto; e questo è un criterio di scelta ovvio, perché è bello parlare di un testo che si ama o di un autore col quale ci si sente in sintonia; 2) i libri che fanno accedere a contesti storici e culturali lontani e poco conosciuti. In questi casi bisogna spiegare cosa sono questi libri e perché furono scritti; compito non sempre facile. Il libro di oggi, la “Edda” dell’islandese Snorri Sturluson (1178 – 1241), appartiene alla seconda categoria.
L’Edda di Snorri fu redatta nell’Islanda medievale, un contesto culturale in cui le antiche credenze politeistiche convivevano con la nuova fede cristiana, un sincretismo religioso molto raro nell’Europa medievale. Snorri descrisse i miti del politeismo scandinavo e nutrì, almeno dal romanticismo in poi, l’immaginazione di generazioni di scrittori, pittori, musicisti e registi, e continua a farlo anche oggi.
“Questo libro si chiama Edda; lo ha composto Snorri, figlio di Sturla” si legge in uno dei primi manoscritti di quest’opera. Il significato della parola “Edda” non è chiaro. Alcuni la vedono legata al termine “odhr”, “poesia”; per cui Edda significherebbe “poetica”. Altri lo connettono ad un luogo, Oddi, dove Snorri era stato educato.
Questo libro, che oggi ci appare come l’inizio della letteratura scandinava, costituì invece l’epilogo di una lunghissima preistoria orale. Ciò era avvenuto del resto anche per l’Iliade e l’Odissea: nel momento in cui furono scritti, nell’Atene di Pisistrato, i poemi omerici condensavano molti secoli di componimenti e miti trasmessi col solo ausilio della metrica e dell’apprendimento mnemonico.
La Edda poetica e la Edda prosastica, o Edda di Snorri
Non vi nascondo, amici lettori, che il tema non è facile e pone questioni irrisolte che non avrò neanche il tempo di accennare. Posso solo chiarire alcune cose e dare un’idea di ciò che troverete in questo libro.
Un primo elemento di confusione per il lettore moderno consiste nel fatto che di Edda ne esistono due: la cosiddetta “Edda poetica” e la “Edda prosastica” o “Edda di Snorri”. Si tratta di due opere distinte, che costituiscono le più importanti fonti della nostra conoscenza della mitologia e della poesia scandinava.
La “Edda poetica” è una raccolta di poemi in lingua norvegese, che trattano degli antichi dèi e degli eroi. Non sappiamo chi furono gli autori di questi componimenti antecedenti la cristianizzazione dell’Islanda, né il nome di colui che li raccolse. La raccolta è preservata in un manoscritto risalente al 1270, a sua volta copia di un manoscritto risalente al 1200 circa e poi perduto.
Invece la “Edda prosastica” fu opera di un singolo autore, il nobile islandese Snorri Sturluson, erudito, storiografo, poeta e uomo politico. Egli la scrisse tra il 1220 e il 1230 con l’intento principale di creare un manuale per la composizione poetica. Snorri desiderava mantener viva la poesia tradizionale, basata su principi metrici ed estetici diversi da quelli della poesia francese o anglosassone, che aveva cominciato allora a diffondersi anche in Islanda.
La poesia scaldica
Il suo libro cita naturalmente brani appartenenti all’Edda poetica, nonché altri componimenti appartenenti alla cosiddetta “poesia scaldica”. Lo scaldo era il poeta di corte nell’età dei Vichinghi, contrapposto al poeta popolare. La poesia scaldica era tecnicamente assai complessa, basata su straordinari virtuosismi verbali ed elaborate metafore.
Tra gli elementi distintivi del linguaggio poetico scandinavo erano l’allitterazione, cioè l’impiego ravvicinato di parole che iniziavano nello stesso modo, e l’uso di una metafora poetica, detta “kenning”.
La “kenning” è tipicamente composta di due elementi; uno di essi (di solito un genitivo) ha il compito di determinare il concetto fondamentale espresso dall’altro elemento, ma il risultato semantico complessivo è ancora diverso. Così “la casa della balena” è il mare, “il cavallo dell’onda” è la nave, “la tempesta di spade” è la battaglia. Molte “kenningar” alludevano agli antichi miti. Per spiegare questo linguaggio, Snorri narrò i miti del politeismo scandinavo.
Struttura della Edda di Snorri
L’Edda di Snorri è divisa in tre parti precedute da un prologo, che oggi non viene ritenuto opera sua e che l’edizione Adelphi omette. Esclusa dall’edizione Adelphi è anche la terza parte del libro di Snorri, formata da un poemetto che illustra in 102 strofe ogni possibile variante retorica e metrica della poesia scaldica. Questa terza parte, vero tour de force di tecnica poetica, avrebbe richiesto un’edizione con testo a fronte ed una preparazione linguistica non comune da parte del lettore.
In conclusione, il libro di Adelphi è costituito dalle prime due parti dell’Edda di Snorri, precedute da un’introduzione del germanista Giorgio Dolfini. Vediamo di che si tratta.
“L’illusione di Gylfi”
La prima parte del libro di Snorri è intitolata “Gylfaginning”, cioè: “L’illusione di Gylfi”. Essa contiene la trattazione fondamentale della tradizione mitica norrena. “Re Gylfi era un uomo saggio ed esperto di magia. Egli si meravigliò di quanto il popolo degli Asi fosse sapiente e capace che ogni cosa procedesse secondo la loro volontà. Ed egli meditò se questo potesse derivare dalla loro propria natura, oppure dalla potenza degli dèi cui essi sacrificavano”.
Il re Gylfi si reca allora presso il popolo degli Asi, che sono in realtà gli stessi dèi. Ma gli Asi, che hanno poteri magici molto maggiori, gli approntano una visione, nel corso della quale risponderanno alle sue domande. Gylfi giunge sotto l’aspetto di un viandante all’immane fortezza di Ásgardhr e viene introdotto in un immenso edificio, il Valhöll, dove: “vide molti locali e una gran folla d’uomini: gli uni giocavano, altri bevevano, altri ancora si battevano con le armi”.
Gylfi viene condotto alla presenza del re, che è una triade di dèi, e pone loro tutte le domande che vuole. Le risposte illustrano i miti nordici e trattano le eterne domande dell’esistenza: chi sono gli dèi? Come è nato l’uomo? Come è nato il mondo? E come finirà? Cosa avverrà dopo la sua fine? Perché ci sono le stagioni? Perché ci sono il giorno e la notte? Qual è l’origine del male, e così via.
La seconda parte è intitolata “Skáldskaparmál”, cioè: “Il linguaggio poetico”. Si tratta di un vero e proprio manuale tecnico dello scaldo, cioè il poeta di corte del mondo scandinavo. Snorri illustra figure retoriche e stilistiche della tradizione poetica, riferendosi anche ai miti che aveva trattato nella Gylfaginning.
L’Edda come punto d’accesso ad un’immensa realtà antropologica, mitica e letteraria
Avete ormai capito, amici lettori, che quest’opera è la chiave di accesso ad una realtà antropologica, mitica e letteraria di immensa estensione geografica e temporale, divenuta inaccessibile per altre vie.
È noto che le stirpi germaniche, che si diffusero nella tarda antichità dalla Groenlandia al Nord Africa e dal Nord America alla Russia, non ci trasmisero alcun documento letterario redatto in età pre-cristiana. Quanto alle iscrizioni runiche, vera crittografia simbolico-magica di stretto impiego epigrafico, non è il caso di parlare di letteratura.
Se si eccettuano poche fonti indirette, in primo luogo la “Germania” di Tacito, quanto ci è giunto dell’immaginario dei popoli germanici è passato in qualche modo attraverso il filtro del cristianesimo. Furono i missionari cristiani, attraverso una rivoluzione anche civile, oltre che religiosa e letteraria, a conquistare tra il IV e l’XI secolo i popoli germanici in modo anche cruento: dai Goti convertiti da Ulfila, ai Vandali, ai Franchi, ai Longobardi e ai Vichinghi.
Tuttavia, mentre i popoli che si erano spinti nei territori dell’Impero Romano persero rapidamente la loro fisionomia culturale e linguistica, la Norvegia e l’Islanda conservarono molto più a lungo le vestigia di una comune tradizione germanica. A questa conservazione contribuirono fattori geografici, climatici e storici, tra cui l’assenza di un potere accentratore legato alla Chiesa. L’antica letteratura germanica continuò dunque a tramandarsi oralmente per secoli specialmente in Norvegia e in Islanda.
Come un grande fiume in piena, questa poesia raccolse e assimilò elementi eterogenei, con cui i popoli germanici erano entrati in contatto durante le loro migrazioni. Vi figurano antichi dèi, giganti, nani, elfi e altre creature favolose, riti sciamanici d’iniziazione, personaggi storici del mondo tardo antico quali Attila, i re burgundi Gibico e Gundicario, i re goti Ermanarico e Teodorico (tutti vittime o nemici degli Unni), il re franco Sigeberto I (poi divenuto il Sigfrido del mito), la principessa Brunilde, e altri ancora.
Perché questo patrimonio si preservò in Islanda
L’Islanda, per la sua distanza dalle coste europee, fu la terra dove queste narrazioni più a lungo sopravvissero. La civiltà che vi si sviluppò a partire dal IX-X secolo fu un caso atipico nel panorama del medio evo europeo.
La società islandese si costituì infatti per la colonizzazione dell’isola, fino ad allora disabitata, da parte di esuli volontari norvegesi, signori e liberi contadini, che non intendevano subire la monarchia assoluta che il re Haraldr “dai bei capelli” (morto intorno al 945) voleva instaurare sul modello di Carlo Magno. Il nipote di Haraldr, Óláfr Tryggvason riprenderà tale politica accentratrice (995-1000) utilizzando il cristianesimo per rafforzare il suo potere.
Così, coloro che non volevano sottostare alla tirannia di Haraldr smontarono le loro case e presero il mare in cerca di una nuova patria. Quelli che approdarono in Islanda ricostituirono il modello dell’arcaica comunità norvegese con le sue tradizionali libertà locali, le sue leggi, i suoi culti e i valori morali e religiosi del paganesimo.
Col tempo giunsero anche alcuni profughi che erano approdati inizialmente in terre cristiane, per esempio in Irlanda, e introdussero pacificamente in Islanda la nuova fede, anche se alcuni di loro ritornarono alla fede pagana, o lo fecero i loro figli. Per questo, nella società islandese si sviluppò un sincretismo culturale e religioso che si protrasse molto a lungo e che sussisteva ancora al tempo di Snorri.
L’Islanda di Snorri
La storia ci ha trasmesso una data di facile memorizzazione per la cristianizzazione dell’Islanda: l’assemblea dell’anno 1000 stabilì, affidandosi ad una decisione mediatrice che si prefiggeva di non indebolire la coesione sociale e nazionale islandese di fronte alle pressioni esterne, che il cristianesimo fosse considerato religione ufficiale della comunità islandese e che il culto pagano si celebrasse esclusivamente in privato.
Fu una scelta di opportunità politica, perché la penetrazione del cristianesimo non aveva conosciuto il carisma trascinante di un grande predicatore, né si appoggiava su una qualche comunità monastica. Il cristianesimo era semplicemente penetrato attraverso privati che miravano ad integrarsi nella società islandese, non a distruggere il paganesimo.
Inoltre in Islanda non esistevano centri religiosi o templi di devozione generale, ma templi e chiese personali, familiari o di piccole comunità. Il paganesimo locale contemplava l’esistenza di diversi dèi. Tra essi ogni individuo o comunità sceglieva quello con cui stabilire un rapporto speciale, un rapporto che aveva una natura anche contrattuale: devozione in cambio di protezione; un rapporto che il fedele poteva eventualmente rompere, se restava deluso nelle sue aspettative.
Sincretismo religioso
La penetrazione del cristianesimo in Islanda si inserì dunque in questo quadro; il dio dei cristiani si presentava come il dio più potente ed efficace in quel particolare tempo. Ecco l’essenza del sincretismo religioso che permaneva nell’Islanda di Snorri, oltre due secoli dopo la cristianizzazione dell’isola.
Lo stesso Snorri, di educazione e cultura anche cristiana, fu un rappresentante di questo pensiero sincretistico; come scrive Giorgio Dolfini nella sua introduzione: “a ragione è stato affermato che il cristiano Snorri credeva anche in Ódhinn”. Questo può oggi meravigliarci, ma per Snorri non era la coerenza dottrinale l’elemento determinante delle sue convinzioni religiose. Snorri non possedeva una mentalità speculativa; era invece affascinato dalla pregnanza delle immagini e dalla suggestione dei simboli.
Fascino e unicità di questo testo
La mentalità germanica accomodava nel mondo una gran quantità di dèì, a volte nemici gli uni degli altri, con l’immaginare la prevalenza di alcuni di essi nel corso di epoche diverse. La breve esistenza di ogni uomo ha necessariamente luogo nel momento in cui una certa divinità è specialmente potente, e ad essa lui farà bene a rivolgersi; ma altre divinità avevano prevalso prima e altre ancora prevarranno in futuro. Questo è il quadro cosmico che Snorri rappresenta, corrispondente all’immaginario ancestrale dei popoli germanici, vicino in questo all’antica religione vedica.
Uno degli aspetti affascinanti del libro di Snorri è che l’autore è pienamente immerso nel contesto mitico che descrive. Come scrisse Dolfini, egli si appropria del mito che narra, lo rivive, lo ricrea e lo varia con legittimità. E fu sua facoltà precipua quella di pensare mitologicamente, mythologein, come potrebbe dire chi pensasse al mondo greco. Di qui l’importanza e l’unicità dell’opera di Snorri.
Avrei molto altro da dirvi, amici lettori, ma lo spazio a disposizione mi impone di fermarmi. Vi lascio quindi al piacere della scoperta. Buona lettura e alla prossima!
Per chi fosse eventualmente interessato, ecco i link alle precedenti recensioni:
– 1) “Storie e leggende napoletane”, di Benedetto Croce;
– 2) “Il monaco nero in grigio dentro Varennes”, di Georges Dumézil;
– 3) “I Vangeli Gnostici”, a cura di Luigi Moraldi;
– 4) “La Cripta dei Cappuccini”, di Joseph Roth;
– 5) “Fuga da Bisanzio”, di Iosif Brodskij;
– 6) “Andrea” o “I ricongiunti”, di Hugo von Hofmannsthal;
– 7) “Lo stampo”, di Thomas Edward Lawrence;
– 8) “Un altro tempo”, di Wystan Hugh Auden;
– 9) “Fuga senza fine. Una storia vera”, di Joseph Roth;
– 11) “Mysterium iniquitatis”, di Sergio Quinzio;