di Francesca Radaelli
Fu pubblicata il 25 novembre del 1916 la celebre teoria della relatività generale di Albert Einstein, che rivoluzionò il concetto di tempo assoluto, introducendo la nozione di spazio-tempo. Il fisico tedesco, nato a Ulma il 14 marzo 1879 e naturalizzato svizzero, sovvertì così alcuni dei principi cardine della fisica newtoniana, descrivendo la gravità come una curvatura dello spazio-tempo.
“Certe volte mi domando perché sia stato proprio io a elaborare la teoria della relatività”, disse Einstein in seguito. “La ragione, a parer mio, è che normalmente un adulto non si ferma mai a riflettere sui problemi dello spazio e del tempo. Queste sono cose a cui si pensa da bambini. Io invece cominciai a riflettere sullo spazio e sul tempo solo dopo essere diventato adulto. Con la sola differenza che studiai il problema più a fondo di quanto possa fare un bambino”.
Nel 1905 lo scienziato aveva già esposto i fondamenti della cosiddetta ‘relatività ristretta’, in un articolo in cui era comparsa per la prima volta la formula E = mc2, forse l’equazione più celebre della fisica, portatrice di un messaggio a dir poco sconvolgente: massa ed energia possono trasformarsi l’una nell’altra, una stella può splendere per miliardi di anni grazie alla sua capacità di trasformare poco per volta piccolissime quantità della sua massa in elevatissime quantità di energia.
Ma nel 1916 Einstein va oltre e, con la relatività generale, dimostra che non solo massa ed energia, ma anche spazio e tempo sono indissolubilmente legati tra loro. Il movimento dei corpi, della massa e dell’energia, dice Einstein, avviene in una realtà geometrica unitaria, lo spazio-tempo appunto, o meglio la curvatura dello spazio-tempo determinata dalla forza di gravità.
La complessa teoria della relatività generale fu accolta inizialmente con un certo scetticismo nel mondo scientifico. Ciò che si rimproverava ad Einstein era il metodo con cui era giunto alle sue formulazioni, sulla base cioè di ragionamenti matematici e analisi geometriche, e non attraverso esperimenti e osservazioni empiriche.
L’idea che l’uomo, così come la luce delle stelle, non siano altro che una parte di uno stesso cosmo fluido, ordinato e omogeneo, in cui spazio e tempo sono governati dalle stesse leggi, doveva affascinare non poco quel geniale pensatore che in fotografia appare con i capelli perennemente arruffati, e che non nascondeva la sua ammirazione per le teorie razionaliste e ‘olistiche’ del filosofo seicentesco Baruch Spinoza.
Dimostrarlo attraverso equazioni matematiche fu tutta un’altra storia. Eppure le formulazioni di Einstein riceveranno conferme empiriche incontrovertibili, quando verrà osservato, per esempio, che un raggio di luce che passa vicino a una stella non prosegue in linea retta, ma viene deviato: la luce è energia, e poiché massa ed energia sono equivalenti (E =mc2 appunto) la luce sarà attratta da una stella così come lo sarebbe una massa, venendo sottoposta alla curva spazio-temporale caratteristica dei campi gravitazionali.
È il 1921 l’anno in cui ad Albert Einstein viene attribuito il Premio Nobel per la fisica. Curiosamente il riconoscimento non gli viene conferito per la teoria della relatività, che pure è quella usualmente associata al suo nome, bensì per le scoperte relative ai fotoni e all’effetto fotoelettrico. Il grande scienziato e pensatore, ormai identificato come il genio per antonomasia, morirà nel 1955 negli Stati Uniti, dove si era trasferito negli anni dell’avvento di Hitler in Germania.
Ma cos’è in poche parole la relatività? Quale il suo significato più vero, al di là delle formule matematiche? In che cosa consiste la curva spazio-temporale e quali sono le sue conseguenze? Lo stesso Einstein, che non era certo un accademico serioso, disse una volta: “Quando un uomo siede un’ora in compagnia di una bella ragazza, sembra sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora. Questa è la relatività”.