di Francesca Radaelli
L’impegno scientifico nella ricerca e quello civico in Senato. Sono i due volti di Elena Cattaneo, scienziata e senatrice a vita, che lo scorso venerdì 31 marzo è stata ospite a Monza, presso il Teatro Triante, in una serata organizzata da diverse associazioni del territorio, tra cui la cooperativa La Meridiana e l’Associazione Ricerca Alzheimer Lissone.
Durante l’incontro, condotto dal giornalista Fabrizio Annaro, direttore del Dialogo di Monza, è intervenuto anche il sindaco di Monza, Paolo Pilotto, che in apertura ha sottolineato la bellezza, ma anche la difficoltà di occuparsi della comunità e l’importanza della collaborazione tra le istituzioni e le realtà del territorio.
Impegno civico e ottimismo scientifico
“La nostra è una società complessa”, ha esordito Elena Cattaneo, autrice del libro “Armati di Scienza”, facendo riferimento alla sua esperienza di senatrice, “ma in questa società ognuno ha la possibilità di fare la sua parte. Nella parte del mondo in cui abitiamo i cittadini sono liberi, anche di arrabbiarsi, criticare, contestare: partecipare è il bello della democrazia, ma purtroppo non lo si fa abbastanza”.
A questo proposito, da donna di scienza, Elena Cattaneo cita un’altra donna di scienza, Rita Levi Montalcini. Donna in un tempo in cui solo gli uomini studiavano medicina, ebrea nella società delle leggi razziali, portò avanti le sue ricerche di laboratorio sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale. “Quando le chiedevano come avesse potuto resistere in un contesto così difficile, lei rispondeva: “ho avuto tutto facile , le difficoltà me le sono scrollate di dosso come l’acqua dalle ali di un’anatra”. Credo che dovremmo prendere esempio da lei: le ingiustizie, le difficoltà esistono, ma noi dobbiamo ricercare soluzioni”.
La ricerca scientifica e il suo valore sociale
Il problema a cui ha deciso di dedicarsi la prof.ssa Cattaneo è la Còrea di Huntington, malattia genetica neurodegenerativa, secondo un approccio che unisce la ricerca scientifica più rigorosa a un dialogo costante con i malati e le loro famiglie. La scienziata sottolinea come il suo team di ricerca non trascuri la relazione con i malati ma li coinvolga anche attraverso il racconto delle varie fasi del processo di ricerca e delle scoperte: “L’obiettivo è aiutare a superare la paura della malattia, così come lo stigma verso queste persone, poiché l’isolamento rischia di uccidere prima ancora della malattia”. La scienziata è convinta che la scienza debba parlare nello spazio pubblico, raccontarsi, trovare un suo spazio tra i cittadini, anche perché “il traguardo di tutti gli scienziati impegnati nella ricerca è il benessere dei cittadini”.
La storia di Nancy Wexler, pioniera della Còrea di Huntington
Con la passione della scienziata che racconta ciò a cui sta dedicando la sua vita professionale, Elena Cattaneo racconta al pubblico in che cosa consiste la Còrea di Huntington, quali sono le sue manifestazioni (movimenti incontrollati del corpo), le sue cause, ossia la mutazione di una sequenza genetica nel DNA, ma soprattutto la storia dei pionieri nel suo studio. Anzi delle pioniere.
Perché, spiega la prof.ssa Cattaneo, se tanti scienziati nel mondo si dedicano oggi alla Corea di Huntington, il merito è di una donna, Nancy Wexler, una genetista americana proveniente da una famiglia colpita da questa malattia, che in giro per gli Stati Uniti e poi per il mondo ha cercato di ‘reclutare’ scienziati che si dedicassero allo studio di questa malattia: “Durante le sue conferenze a un certo punto diceva ‘go to Venezuela’”, ricorda Elena Cattaneo, “poiché proprio in Venezuela, nei villaggi sulle sponde del lago Maracaibo, la malattia è particolarmente diffusa”.
Lo stigma contro le malattie neurodegenerative
Lo stigma ha da sempre colpito i malati di Huntington: già ai primi del Novecento in alcuni stati degli Stati Uniti sono state emanate delle leggi ‘eugenetiche’ che imponevano la sterilizzazione ai malati; durante il nazismo le persone affette da malattie neurologiche venivano internate nei lager per essere eliminate; negli anni Sessanta Woody Guthrie, cantante folk affetto da questa malattia, è stato ritenuto alcolizzato e drogato poiché i sintomi della Còrea di Huntington rendevano “strano” il suo comportamento. In Venezuela, i malati sono stati ritenuti “indemoniati” e allontanati dal resto della società: così in alcuni villaggi, abitati da persone isolate dal resto della società, si registra un numero altissimo di casi di Huntington.
Nel 1993 dopo 15 anni di ricerche, iniziate quando ancora nessuno aveva mai provato a studiare il DNA, viene isolato il gene responsabile della malattia. Altri 15 anni dopo, nel 2018, papa Francesco dà udienza a migliaia di malati provenienti dall’America Latina. Elena Cattaneo ha fatto parte di coloro che organizzarono il viaggio a Roma di queste persone: “Inizialmente avevamo chiesto al papa di dare udienza a un malato, in rappresentanza di tutti gli altri, ma lui ci ha risposto: ‘Perché non a tutti?’. Così ci siamo lanciati nell’organizzazione di questo evento, abbiamo recapitato gli inviti alle persone che vivono in Sudamerica e le abbiamo accolte al loro arrivo: è stato l’esperimento più bello della mia vita”.
Malattie neurodegenerative in Brianza: la cura va oltre i farmaci
La dimensione umanitaria ed umana della ricerca sulle malattie neurodegenerative traspare anche dai progetti sul territorio monzese raccontati da Marco Fumagalli e Roberto Dominici. Il primo, coordinatore dei servizi educativi de La Meridiana, ha parlato del Paese Ritrovato, il villaggio, sorto sul territorio di Monza, in cui dal 2018 vivono persone con Alzheimer: “Un piccolo miracolo, che ha permesso a persone con la malattia di vivere la propria condizione in modo resiliente, curando il proprio benessere e superando lo stigma che colpisce le persone con demenza”.
Come ha sottolineato Roberto Dominici, dirigente medico e fondatore di ARAL (Associazione Ricerca Alzheimer Lissone), in Italia ci sono circa 1,2 milioni di malati con demenza: “Poiché oggi i farmaci hanno un’efficacia limitata, con il progetto dell’Alzheimer Cafè di Lissone puntiamo sullo sviluppo di un senso di comunità, sulla costruzione di reti sociali, poiché il malato resta una persona con il diritto di vivere la propria vita. La demenza non deve annullare la vita di queste persone”.
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