di Luigi Losa
La ‘vecchia Monza’ ha comunque scelto, l’altra metà ha rinunciato a votare, perché?
Una partita aperta, come non era mai accaduto prima, nelle elezioni dirette del sindaco. A Monza, domenica 25 giugno, all’indomani della festa di San Giovanni patrono della città, al ballottaggio si sfideranno il sindaco uscente di centrosinistra Roberto Scanagatti, che domenica 11 ha raccolto 19.379 voti pari al 39,91%, e l’ex presidente della Provincia nonché vicesindaco dal 2007 al 2009 e candidato del centrodestra Dario Allevi che al primo turno di voti ne ha presi 19.334 pari al 39,84%.
Una differenza tra i due contendenti alla poltrona di primo cittadino di soli 35 voti con la possibilità che, per la quinta volta dall’introduzione dell’elezione diretta, il sindaco cambi di nuovo, ovvero che il secondo mandato negato a Roberto Colombo, sfuggito a Michele Faglia e Marco Mariani, resti una chimera anche per Scanagatti.
Allevi e Scanagatti sono peraltro politici di lungo corso visto che da decenni calcano la scena monzese e peraltro in lizza con loro c’erano anche Pierfranco Maffè che si è fermato al 5,23% e che è stato assessore un po’ a tutto in tante tornate, Paolo Piffer (4,84%) consigliere comunale uscente, Michele Quitadamo (1,28%) storico esponente della sinistra monzese insieme ai neofiti Danilo Sindoni (7,64%) del Movimento 5 Stelle, in netta flessione, e Manuela Ponti (1,23%) candidata della lista ‘Il Popolo della Famiglia’.
Visti i risultati, visti i personaggi, le elezioni monzesi parrebbero sconfessare del tutto l’analisi di qualche giorno addietro, prima del voto, di una città ‘geneticamente modificata’.
In effetti il fatto che gli schieramenti ‘storici’ dell’ultimo quarto di secolo ed oltre, figli ed eredi di fatto della Dc da una parte e del Pci dall’altra con rispettivi satelliti e alleati, abbiano raccolto quasi l’80% dei voti parrebbe semmai la conferma di una città vecchia che resiste e tiene fede alle sua opinioni, convinzioni e certezze politiche.
Il ‘nuovo che avanza’ insomma, e segnatamente il movimento di Grillo, si è perso per strada o sulle sponde di un Lambro più che mai in secca e arido.
Senonché c’è un altro dato che va considerato che è assolutamente importante: a votare è andato soltanto il 51,88% (49.598 elettori) dei cittadini aventi diritto, praticamente uno su due. Se si tiene solo conto del fatto che lo scorso 4 dicembre per il referendum costituzionale che spaccò il Paese e che venne sonoramente bocciato, si recò a votare, a Monza, il 75,07% (pari a 68.193 cittadini), oltre 23 punti percentuali in più e stiamo parlando di poco più di sei mesi fa, c’è di che riflettere molto attentamente e profondamente su cosa e perché è successo che quasi 20mila persone, maggiorenni e residenti, senza contare gli altri 20mila all’incirca, abbiano scelto di starsene a casa o andare al parco o al mare o in collina, laghi, monti, tutto fuorchè andare a scegliere chi dovrà governare la loro città, occuparsi dei grandi progetti così come delle buche nelle strade, dei marciapiedi e dei parchetti sotto casa.
C’è insomma un’altra metà di Monza che si conferma essere ‘geneticamente’ diversa e che evidentemente non ha trovato, in alcuno dei candidati proposti, la persona ma anche il programma, le idee, etc. che potessero interessarla, che rispondessero ad aspettative, bisogni, problemi, urgenze e non solo desideri e/o sogni.
E’ un’altra metà di Monza del tutto diversa da quella recatasi alle urne e che, mi sbaglierò, ma è fatta di giovani che sono ormai monzesi solo per residenza anagrafica ma che vivono, pensano, lavorano lontano o vicino poco importa ma con testa e cuore nel mondo.
Di nuovi residenti che sono ben lungi dall’essersi integrati, posto che lo vogliano o desiderino, e che considerano Monza il posto al momento ove vivere o lavorare senza sentirsene minimamente parte.
Di vecchi anche residenti che si sono sentiti e si sentono comunque tagliati fuori, abbandonati o dimenticati, delusi o disillusi o stanchi di aspettare quel che loro serve o vorrebbero e che non arriva o peggio va in senso contrario.
Di gente multitasking che non ha patria o religione, amici o famiglia, insomma senza radici e/o senza identità che si trova per caso a Monza. Di gente arrivata a Monza per scelta forzata o per caso da Paesi lontani che non ha diritti men che meno quello del voto. E che pure alla fine del 2015 erano più di 15mila e scusate se è poco (più del 12% infatti) che con il voto di domenica 11 e con il ballottaggio del 25 non c’entrano per niente. Ma che a Monza, piaccia o no, ci sono.
Ecco di tutta questa gente, con un nome ed un cognome, una testa, due braccia, due gambe, etc. chiunque alla fine diventerà sindaco dovrà in ogni caso occuparsi piaccia o meno a lui e/o ai suoi sostenitori così come ai suoi avversari così come agli stessi interessati, i cittadini, uomini e donne della Monza che non è andata, non ha voluto andare, non ha potuto andare, a votare.