di Mattia Gelosa
Dopo il clamoroso boom de “La casa di carta”, Netflix rilancia le produzioni spagnole con “Elite” e fa di nuovo centro.
Tre giovani di umili origini vincono una borsa di studio per frequentare una scuola privata per figli di ricchissimi. Il loro arrivo scatenerà malumori e li farà diventare bersaglio dei compagni di classe, finché, fra problemi di bullismo e amori inaspettati, la situazione degenererà in un brutale omicidio. Con la formula tipica di “Le regole del delitto perfetto”, “Elite” ci mostra come è possibile arrivare ad un delitto, che viene spiegato grazie a dei flash forward, di cui inizialmente non sappiamo nulla.
La sottotrama gialla cattura l’attenzione e tiene sempre viva una storia che comunque ha pochi punti morti, grazie anche al numero esiguo di puntate. Se i poveri vengono presentati come persone dalle vite difficili e costretti a volte ad arrivare al crimine per rimediare qualche soldo, pian piano i ricchi rivelano altrettanti punti deboli, difficoltà e condotte criminali.
Arriva anche l’amore, inatteso, come quello fra Marina, ricchissima ma con un carattere turbolento e sieropositiva, e Nano, ex detenuto appena uscito di prigione e fratello di uno dei poveri della scuola, oppure fra Guzmàn, fratello di Marina, e una musulmana figlia di un umile venditore di alimentari.
La serie tiene fede al gusto spagnolo e si intrica di sottotrame affettive dove non manca nulla: l’omosessualità, il sesso a tre, il razzismo, la religione, la droga, i rapporti genitori-figli. Tutto abbonda in “Elite” e questo tiene certo lontana la noia. Può anche non piacere e non c’è dubbio che abbia creato un po’ di scandalo, con il risultato di far accrescere ulteriormente l’attenzione.
Nonostante ciò, la serie è abbastanza realistica e più credibile de “La casa di carta”, dalla quale prende in prestito i volti di Alison, Rio e Denver, ma senz’altro più adatta a un pubblico più teen di quello della sorella iberica.
A livello qualitativo, nulla da eccepire: la regia è sempre bella, gli attori sono tutti giovani, ma abbastanza bravi (i migliori Maria Pedraza/Marina e Miguel Bernardeau/Guzmàn). Anche la fotografia è curata e sa mettere bene in rilievo la bianca asetticità delle case e della scuola dei ricchi, in confronto ai luoghi più cupi in cui si muovono i meno abbienti.
Il tema della lotta e della differenza di classe si risolve con quella che forse è la più giusta delle soluzioni: nessuno è migliore o peggiore di altri perché, oltre la facciata, ogni adolescente è una persona in cerca di sé stessa, incerta sul futuro e piena di paure e tormenti.
Ci sono molti sapori nel piatto, ma la ricetta funziona e se potete recuperare la serie tv e siete fan del mondo “teen” datele una possibilità. Dopo un paio di puntate, vi toglierete i dubbi sul continuare o meno.