di Francesca Radaelli
È il 9 settembre 1928, autodromo di Monza. Nel “tempio della velocità” si corre il sesto Gran Premio d’Europa, nonché ottavo Gran Premio d’Italia, valido per il mondiale costruttori. Sul circuito sfrecciano i bolidi dell’epoca: Bugatti, Alfa Romeo, Maserati, Talbot, Delage. In pista ci sono tutti i migliori piloti: Chiron, Varzi, Campari, Nuvolari, Borzacchini, Materassi. Sulle tribune ai margini della pista si affollano gli spettatori, a ogni giro di pista il brivido della velocità percorre gli spalti.
Sono i tempi dell’Italia fascista e le corse automobilistiche si sposano alla perfezione con la propaganda di regime. Le vittorie dei bolidi esaltano la potenza dell’industria meccanica italiana. I piloti vittoriosi nelle competizioni europee sono celebrati quasi come eroi nazionali. La velocità di uomini e motori è un mito con cui inebriare le masse. Basta pensare a Tazio Nuvolari, trasformato dal regime in una sorta di superuomo della velocità, con tanto di investitura da parte del ‘vate’ Gabriele D’Annunzio.
Un incidente ‘terrificante’
A Monza, il 9 settembre 1928, il mito della velocità in pista rischia però di subire un duro colpo. Al 17esimo dei 60 giri previsti del circuito, la Talbot di Emilio Materassi esce dalla parabolica e sul rettilineo delle tribune tenta il sorpasso sulla Bugatti di Giulio Foresti. L’auto raggiunge i 200 kmh. All’improvviso, sotto gli occhi attoniti del pubblico, la Talbot sbanda a sinistra e piomba a tutta velocità sulla tribuna centrale, gremita di spettatori. La vettura arresta la sua corsa nel fossato di protezione. Materassi viene scaraventato fuori. Qualcuno lo vede rialzarsi. Sembra scambiare qualche parola con i presenti. Poi si accascia al suolo, stroncato da un’emorragia interna dovuta a un colpo alla tempia.
Con lui muoiono 21 spettatori. “Lo spettacolo è terrificante”, scrive il corrispondente del Corriere della sera. “Per una lunghezza di cinquanta metri il suolo è cosparso di corpi inanimati, come se un proiettile appena scoppiato avesse coperto il terreno di vittime”. I feriti sono una trentina, forse di più. Tra gli ultimi a morire, in ospedale, anche un ragazzino di tredici anni, figlio del podestà di Biassono.
Una tragedia da dimenticare
La corsa però deve continuare. Alla fine, a tagliare per primo il traguardo sarà il francese Chiron. Ma al 26esimo giro un altro incidente coinvolge l’autovettura di un altro italiano: si tratta di Borzacchini, che riesce però a saltare a terra in tempo, senza riportare alcuna ferita. L’appuntamento per lui è rimandato di qualche anno. Borzacchini perderà la vita nel 1933, sullo stesso circuito di Monza. Il Duce farà mandare una corona di fiori alla camera ardente del pilota che cambiò nome per far piacere al regime: battezzato Baconino in onore dell’anarchico Bakunin, divenne Mario Umberto, in onore dei Savoia.
Sono veri e propri dei della velocità, i piloti di allora. Corrono temerari e impavidi, raggiungono picchi mai visti. I costruttori fanno a gara per mettere a punto vetture sempre più veloci. Nel 1937, nel deserto salato dell’Utah, una Ransom raggiunge i 596 chilometri orari. La sicurezza conta ben poco nell’allestimento di un’autovettura. L’obiettivo è uno solo: essere il più veloce. Per i piloti la corsa diventa spesso una gara con la morte. Una curva sbagliata, una buca, un ostacolo in pista. Volano sui cieli d’asfalto delle piste, ma possono precipitare da un momento all’altro. I piloti sono divinità che giocano con la morte a centinaia di chilometri orari.
Per Emilio Materassi il governo non manda corone di fiori. Troppe persone erano morte insieme a lui. Anzi, dopo lo sgomento iniziale, l’incidente viene messo rapidamente a tacere. Troppo grande il pericolo di scalfire il mito della velocità in pista e l’immagine dell’Italia fascista in marcia verso il progresso. Così scrive ‘Il Popolo d’Italia’ il giorno successivo alla gara, a commento della ‘fatalità’: “Avviene spesso, in queste competizioni, di dover assistere alla fine tragica dei dominatori del volante. Le gare hanno nel loro preventivo delle fatalità. Quella di Monza è gravissima. Ma non bisogna sgomentarsi. La vita è tutto un cimento. Essere su tutti i fronti, significa affrontare tutti i rischi. Nel cordoglio per le vittime tempriamo la nostra anima per gli ardimenti futuri”.
Le cause dell’incidente
Davvero fu tutta colpa del fato? Una volta ‘temprata’ l’anima in vista del futuro, però, sulle cause di quello che è successo non si indaga più di tanto. L’incidente – che resterà il più grave in una gara automobilistica, almeno fino a quello di Le Mans del 1955 – viene presto ‘dimenticato’ dalla cronaca giornalistica dei giorni successivi. L’ipotesi più probabile è quella di un cedimento meccanico, dovuto forse a un particolare assetto dell’autovettura di Materassi. Poco prima della corsa c’era stato un cambio di regolamento, in base a cui il peso delle autovetture in gara avrebbe dovuto essere inferiore a 750 Kg. Le Talbot della scuderia Materassi pesavano 780 Kg.
Per questo, prima della gara, la rivista Auto Italiana scriveva, in un articolo intitolato “Le incongruenze e le incognite della nuova formula”: “Sarà necessario, perché queste macchine siano ammesse in corsa, che venga sacrificato qualche pezzo accessorio non assolutamente indispensabile e, quel che è peggio, che sia alleggerito qualche organo a scapito della sua resistenza”. Alla vigilia della gara, Materassi e Nuvolari si erano accusati a vicenda proprio di irregolarità sul peso delle rispettive auto. La giuria aveva però deciso di farli partire entrambi.
Emilio Materassi: il pilota meccanico
Nato a Firenze nel 1899, Emilio Materassi gareggiava da soli quattro anni. Non ebbe il tempo di diventare un eroe del regime, né di incontrare Gabriele D’Annunzio. Di origini modeste, era stato prima meccanico di biciclette, poi di automobili. Quindi, per contribuire al sostentamento della famiglia, aveva iniziato a lavorare come conducente di autocorriere. Si dice che sfrecciasse a tutta velocità per le colline del Mugello e che fosse stato licenziato dalla società degli autobus proprio in seguito alle lamentele dei passeggeri. Con l’aiuto di alcuni amici aprì un garage a Firenze e qui mise a punto la sua prima vettura da corsa, una Itala da 300 CV: con questa fece il suo debutto nelle gare.
Lui stesso si occupava di implementare migliorie tecniche sulle vetture con cui scendeva in pista: nacque così la cosiddetta Italona, una Itala “55” su cui installò un motore d’aereo Hispano-Suiza. Dopo aver gareggiato per la Bugatti, vincendo il Gran Premio di Tripoli e la Targa Florio, acquistò quattro Talbot e formò una propria scuderia, apportando una serie di modifiche sul telaio delle vetture. Proprio a bordo di una di queste compì a Monza i suoi ultimi giri di pista.
Sembra che qualche giorno prima, a pranzo con degli amici, mentre Materassi parlava della prossima competizione di Monza, la moglie del pilota cominciò a piangere, come in preda a un brutto presentimento. Il marito le disse allora che con la vittoria di Monza, di cui era certo, avrebbe chiuso la sua carriera di pilota. Così effettivamente fu.
Le conseguenze per l’autodromo di Monza
Ma la morte di oltre venti persone non poteva non avere ripercussioni sull’Autodromo di Monza. Costruito nel 1922 per iniziativa dell’Automobile Club di Milano, l’Autodromo era nato all’interno del Parco con lo scopo dichiarato di ospitare il Gran Premio d’Italia, che avrebbe accresciuto il prestigio internazionale del nostro Paese. Il primo pilota era morto già durante le prove della prima gara disputata a Monza, nel settembre 1922. Ma fu la tragedia di Materassi a determinare una sospensione del Gran Premio d’Italia negli anni 1929 e 1930 (si corse solo un ‘Gran Premio di Monza’, con automobili meno potenti e un circuito meno veloce) .
Nel 1929 vennero effettuate nuove opere per la sicurezza del pubblico e dei concorrenti. Lungo tutto il rettifilo delle tribune il fossato venne ampliato ed approfondito, verso la pista si costruì un robusto muro di calcestruzzo. Per la sicurezza dei piloti, invece, il circuito venne in parte modificato, con l’introduzione del cosiddetto raccordo Florio. Ma poi nel 1932 si tornò all’antico tracciato. L’anno dopo avvenne il già citato incidente che costò la vita a Borzacchini. Lo stesso giorno morirono altri due piloti: l’italiano Campari e il polacco Czaikowski. Negli anni Trenta il circuito di Monza era famoso come il “tempio della velocità”. Di fatto, per i piloti che vi gareggiavano, era molto simile a una roulette russa.
Al termine del GP del 1938 fu avviato un nuovo programma di lavori di modifica dell’impianto. Ma si era ormai alle soglie della guerra. Nel 1939 Hitler invase la Polonia e il Gran Premio d’Italia venne sospeso. Una ‘roulette russa’ di proporzioni più tragiche era iniziata in Europa.