di Francesca Radaelli
Incontrollabili, primitive, irrazionali. Spesso incomprensibili. Le emozioni a volte fanno paura, portano con sé una sensazione di pericolo. Eppure, forse, se ascoltate e coltivate nel modo giusto possono contribuire a generare felicità.
Proprio a loro, alle emozioni, è stato dedicato il secondo appuntamento del percorso formativo 2025 di Caritas Monza incentrato sulla “Ricerca della felicità”. Con il titolo “Ascoltare il cuore”, l’incontro si è svolto lo scorso lunedì 25 febbraio presso la biblioteca del Carrobiolo con una numerosa partecipazione di pubblico.
Ospite della serata, introdotta da don Augusto Panzeri e dal giornalista Fabrizio Annaro, è stata Anna Granata, filosofa dell’educazione e docente presso l’Università Bicocca di Milano, chiamata a delineare i contorni del complesso mondo delle emozioni, a volte poco “ascoltate” all’interno di una società sempre più -almeno in apparenza- razionale, tecnologica e informatizzata.
L’invito a “farsi prossimo” di Carlo Maria Martini
Il punto di partenza, fil rouge di tutto il ciclo di incontri, è il pensiero di Carlo Maria Martini, in particolare le considerazioni esposte in due lettere pastorali: “La dimensione contemplativa della vita” del 1980 e “Farsi prossimo” del 1985, incentrata sulla parabola del buon samaritano.
A leggerne alcuni estratti, nella parte introduttiva della serata, l’attore Guido Garlati. A commentarne i contenuti, come di consueto, il pedagogista Gerolamo Spreafico. La contemplazione, premessa dell’azione, non viene presentata da Martini come una dimensione da vivere in modo solitario, ma come qualcosa che deve passare dalla comunità. Un altro passaggio sorprendente sottolineato da Spreafico è la riflessione sul fatto che il samaritano non appartiene alla comunità dei giudei, ma ne è straniero: l’invito a farsi prossimo di Martini è dunque non un invito a stare nella propria comunità per coltivare sentimenti buoni, ma ad includere l’altro, il diverso. Al momento contemplativo deve seguire una comunione di diversi, non di eguali, che deve poi spingere ad attivarsi, mossi dal cuore. Il samaritano non compie quel gesto di aiuto per poi andarsene, ma si prende cura, in un’ottica che oggi definiremmo “generativa” della carità.

La voce del pubblico
Secondo una formula ormai consolidata viene quindi aperta al pubblico presente la possibilità di intervenire con domande e considerazioni. Una prima sollecitazione è sul rapporto tra lo stare bene, in salute, e l’essere felici: se è vero che anche secondo la medicina le malattie possono nascere da retaggi emotivi negativi, come difenderci dalle notizie negative che giungono ogni giorno, dal carico di rabbia e ansia che portano con sé?
Altro dubbio espresso dal pubblico: Martini parla di giustizia, ma come si conciliano le istanze di giustizia di segno opposto che dominano oggi il nostro mondo? E’ giusto essere accoglienti verso i migranti o è giusto non farli arrivare? E’ giusto integrare i disabili nelle scuole o tornare alle scuole speciali?
Ancora: quanto incidono le emozioni nelle decisioni che prendiamo, nell’ambito pubblico come nelle scelte personali?
Fabrizio Annaro riprende poi le parole di Martini quando dice che forse non basta una carità tradizionale, necessaria e importantissima per accompagnare, ma serve anche cercare di rimuovere le cause che impediscono la giustizia: un invito, sottolinea, rivolto al mondo cristiano a intervenire nell’ambito pubblico e nell’ambito politico.
Infine, giunge sempre dal pubblico una sollecitazione sul tema del passaggio dall’emozione alla passione. Citando la parabola del buon samaritano analizzata da Martini, viene sottolineato come il levita e il sacerdote non si siano emozionati, mentre il Samaritano si è appassionato alla persona, non è andato oltre, si è fermato e se ne è preso cura.
Emozioni: una spinta all’azione
Proprio da questa ultima osservazione prende le mosse Anna Granata, che riprende dal testo evangelico l’espressione “il Samaritano si sentì mosso a compassione nelle sue viscere”.
“Emozioni e passioni: possiamo utilizzare le due parole insieme”, dice Anna Granata. “La parola emozione tiene insieme la dimensione delle viscere, il primato del sentire rispetto al pensare e la dimensione del muoversi, dell’agire. Ci permette così di mettere in discussione alcune dicotomie nelle quali siamo immersi dalla storia del pensiero occidentale, che ci spinge a dividere in due la realtà: pensare o sentire, cervello o viscere, maschile o femminile, emozioni positive o negative, singolo o comunità, azione o contemplazione. Aggiungerei, proprio con Martini: credenti o non credenti”.
Il linguaggio delle emozioni
L’invito è a superare queste dicotomie, proprio come fa il medico che considera la salute in parte legata alla felicità emotiva: “Prenderci cura di emozioni positive che possiamo provare a coltivare ci restituisce tanto in salute”, sottolinea Anna Granata. “Come homo sapiens siamo tante cose insieme. Le emozioni in fondo sono il nostro primo linguaggio: veniamo al mondo piangendo, il primo segno di vita del bambino che nasce è un pianto. Le emozioni hanno quindi una componente più fisiologica, legata al battito cardiaco che aumenta, alla sudorazione. Questi tratti fisiologici sono comuni a emozioni differenti: la rabbia e la gioia provocano entrambe un’accelerazione del battito. Ma nelle emozioni c’è anche una importantissima componente relazionale: non esiste emozione senza un oggetto, che può essere una persona o una cosa. L’emozione è sempre un muoversi da dentro a fuori”.
Farsi coinvolgere senza perdere l’equilibrio
Rispetto alle emozioni negative generate dalle notizie di ciò che accade nel mondo, Anna Granata sottolinea la difficoltà di mantenere un equilibrio tra l’essere informati e coinvolti e il lasciarsi sopraffare da ciò che arriva dall’esterno. “Il rischio è anche quello di anestetizzarci, di abituarci, al genocidio di un popolo, all’idea della guerra. Dobbiamo ricercare costantemente la via per essere coinvolti in quello che accade intorno a noi, senza perdere l’equilibrio, ma evitando il pericolo dell’indifferenza”.
Quale giustizia?
Sul tema della giustizia, Anna Granata rifiuta l’idea di una pluralità di “giustizie”. Nelle parole di Martini esiste una Giustizia: magari non la conosciamo interamente o non ne siamo interamente consapevoli, dobbiamo forse ricercarla”. Rispetto al tema dell’inclusione, le ragioni di chi dice che potremmo fare a meno dei bambini e ragazzi disabili nelle nostre scuole sono le ragioni accolte da tutte gli altri sistemi scolastici europei. “Però la scelta della scuola italiana deriva dall’idea di giustizia dei nostri Padri e Madri Costituenti che al termine della guerra individuano anche questo strumento per prevenire guerre future. Lo strumento è la scuola, come luogo dove i diversi si possono incontrare, conoscere, all’interno di un’unica comunità. Una comunità in cui il diverso non suscita più l’emozione della paura”.
Anche sul tema dei migranti Anna Granata vede l’esistenza di UNA giustizia, ma non solo: “Su questo tema noi non possiamo non avere un pensiero anche cristiano. Non possiamo non pensare che chi arriva da fuori in cerca di Europa, in cerca di diritti, in cerca di pace sia un altro noi, qualcuno in cui vedere il nostro prossimo. Senza considerare che si può vedere un segno dei tempi, un’occasione della Storia, nel fatto che migliaia e migliaia di ragazzini (minori non accompagnati) bussino alle porte del Paese più anziano”.

Emozioni pericolose?
Rispetto alla riflessione sul primato delle emozioni, Anna Granata sottolinea come esse siano meravigliose e allo stesso tempo pericolosissime: “Sono ciò che ci rende umani pienamente, tutte le sfumature delle emozioni ci rendono persone vive. La questione importante riguarda come noi utilizziamo e coltiviamo le nostre emozioni. Siamo in un periodo di rabbia sociale e di ansia collettiva, in cui emerge molto l’aspetto negativo delle emozioni e della loro espressione, spesso esagerata e amplificata, anche in contesti pubblici. Bisogna però considerare che ogni emozione positiva o negativa ha la sua dignità”.
Non solo, secondo Anna Granata esiste un repertorio emozionale molto ampio, ma culturalmente siamo indirizzati a valorizzare alcune emozioni a discapito di altre. Le emozioni dei bambini e degli adolescenti a volte fanno paura agli adulti: “In famiglia, attorno alla tavola, spesso si cerca di reprimere l’esplicitazione delle emozioni forti da parte dei propri figli. Un altro luogo in cui le emozioni possono trovare qualche spazio è la classe di scuola: è ancora radicata nel senso comune l’idea che per imparare ci voglia la sofferenza e il sacrificio, ma in realtà è vero il contrario. Oggi le neuroscienze ci dicono in maniera molto chiara che le emozioni positive, come la gioia e il senso di fiducia che può trasmettere un insegnante, sono la leva più forte per l’apprendimento e l’attivazione della memoria. Invece, come fa notare nelle sue pubblicazioni Daniela Lucangeli, nelle nostre classi spesso manca proprio la gioia, l’umorismo, la risata. I dati ci dicono che oggi sei studenti su dieci in Italia dichiarano di stare male a scuola”.
Tra biologia e cultura
Anna Granata si sofferma poi sulla codificazione culturale dell’espressione delle emozioni, ben visibile nelle rappresentazioni legate al genere: “Al festival di Sanremo abbiamo visto una donna piangere sul palco e, in un’edizione passata, un uomo distruggere l’allestimento di quello stesso palco per esprimere le proprie emozioni. Le rappresentazioni culturali di genere ci portano a selezionare emozioni possibili per il maschile, emozioni possibili per il femminile e in qualche modo a ridurre le sfumature delle nostre emozioni. Le emozioni sono sì qualcosa di fisiologico, che ci accomuna agli animali, ma la dimensione culturale è sempre molto forte. Di fatto veniamo educati a utilizzare certi canali di comunicazione emotiva e non altri, uomini e donne sono educati a parlare due linguaggi emotivi completamente diversi. Dobbiamo però sapere che un repertorio emozionale potenzialmente vastissimo rischia di essere ridimensionato dall’aspetto culturale, ridimensionando anche e riducendo la nostra possibilità di comunicare con gli altri e col mondo”.
Adolescenti in crisi di emozione?
Rispetto agli adolescenti, Gerolamo Spreafico sottolinea due tipi di problemi emotivi che si rilevano oggi negli adolescenti. “La paura di usare il corpo, di abbracciarsi, di percepire il sentire che è nella pelle, non nella testa né negli occhi. E poi il depotenziamento delle emozioni causato dall’esposizione massiccia alle tecnologie digitali. Le neuroscienze ci dicono che uno schermo depotenzia le emozioni: non si diventa rossi davanti a uno schermo, ci si innamora attraverso un messaggio. Certamente, non è colpa degli adolescenti: siamo noi che abbiamo creato una società tutta cognitiva, priva della dimensione del corpo. Nell’educazione bisognerebbe attivare tutta la dimensione del corpo, ma anche pensare a una diversa educazione dell’esperienza digitale”.
Emozioni e parole
Qual è il potere delle parole rispetto alle emozioni? viene chiesto dal pubblico.
“Il potere della parola è anche quello di dare un nome alle emozioni”, risponde Anna Granata. “Non creerei una gerarchia tra emozione e sentimento: lo stesso Martini a proposito del buon samaritano parla di “viscere”, una dimensione da recuperare, spesso considerata meno nobile rispetto alla razionalità. Eppure, il buon samaritano si ferma perché è mosso da dentro. La dimensione della parola è quella del fermarsi, del prendersi un tempo che – ci dice Martini – non è tempo perso ma è un tempo per capire che cosa ci sta muovendo. Questo ci consente di trasformare la dimensione emotiva in qualcosa che ci consenta di agire, di muoverci di muoverci: è questo il potere della parola. La parola ferisce e può curare. Il grande psichiatra Eugenio Borgna diceva che noi siamo “un colloquio”: con la parola noi entriamo in una relazione profonda. Ma questa dimensione non è staccata o avulsa dalla dimensione emotiva”.
Domande “aperte”
Dal pubblico emergono altri temi importanti. La maggior attenzione alle emozioni rispetto al passato da parte di genitori e insegnanti, che si accompagna però alla percezione un aumento delle fragilità dei più giovani. Il dubbio su come imparare ad “ascoltare il cuore”, sul modo giusto di rispondere, anche a parole a chi manifesta emozioni di rabbia e tristezza. E quello, più pratico e concreto, su come aiutare i ragazzi più problematici, con un’attenzione particolare a quelli della scuola popolare del Carrobiolo, allontanati dal sistema scolastico proprio per il modo in cui manifestano le loro emozioni.
Il potere della parola è anche questo: aprire alla riflessione, stimolare domande, che non possono che restare aperte. Nel percorso di ricerca di una risposta, l’invito finale di Anna Granata è soprattutto quello di abituarsi a dare ascolto alle emozioni, a quelle “viscere” da cui scaturisce la carità rivoluzionaria del samaritano. E che possono diventare, forse, una delle vie da percorrere anche nella ricerca della felicità.