di Marco Riboldi
Tra poche settimane si terranno gli esami di stato conclusivi della scuola secondaria di secondo grado (insomma: gli esami di maturità).
Al di là della rimodulazione della prova causa Covid (si farà solo una prova orale, articolata in quattro fasi), la novità dell’anno è la introduzione di un curriculum dello studente.
In sostanza, accanto al diploma di maturità ci sarà un documento nel quale troveranno posto sia le indicazioni già ora previste (materie studiate nel quinquennio, ore dedicate ad ogni materia ecc.), sia tutte le esperienze, attività, corsi ecc. che lo studente possa documentare e che ritenga utili ad una più completa descrizione del proprio percorso di vita e di studi.
Questa introduzione delle esperienze extrascolastiche ha suscitato qualche critica, perchè alcuni la considerano una possibilità in più offerta a chi tra gli studenti ha maggiori disponibilità economiche per frequentare corsi, attività ecc. al di fuori della offerta scolastica.
Vorrei provare a esprimere un parere.
Anzitutto direi che difficilmente il voto finale potrà essere largamente influenzato da questo curriculum. Gli insegnanti esaminatori (che sono tutti interni alla classe, tranne il presidente di commissione) con tutta probabilità utilizzeranno il curriculum al più per qualche arrotondamento nel caso di voti molto buoni (per arrivare al massimo dei voti) o per aiutare qualche studente in difficoltà, magari perchè la prova d’esame risulta inferiore al suo abituale livello (succede: l’emozione, la giornata storta che può capitare, l’ansia …).
Ma stravolgimenti o comunque modifiche decisive mi sembrano difficili.
Una seconda considerazione riguarda invece il vantaggio che il curriculum potrebbe dare per un futuro colloquio di lavoro o di ammissione a università ecc.
Innanzitutto ritengo che sulla ammissione alle facoltà universitarie non ci saranno ripercussioni.
Le Università o sono a libera iscrizione e in tal caso non sono possibili ripercussioni, o sono a numero chiuso e quindi affidano la selezione in entrata a test propri o nazionali, che prescindono dal voto di maturità (sotto questo profilo ormai diventato del tutto inutile per chi si iscrive alle università, posto che abbia qualche altra utilità, che francamente mi sembra sempre meno rinvenibile).
Le università straniere che desiderano avere informazioni sul cammino scolastico dello studente italiano, in genere si rivolgono direttamente alla scuola con propri questionari che chiedono le informazioni giudicate necessarie.
Parlando, invece, dei colloqui di lavoro, mi pare che qui si tocchi il nocciolo della questione.
Che siano scritti sul curriculum scolastico o no, le esperienze significative che una persona riesce a portare a termine nel corso della sua vita di studente ci sono e vengono esibite all’occorrenza.
Si ha un bel dire che sono privilegi per chi può permetterselo: comunque restano.
Se un giovane ha la fortuna di poter frequentare corsi di lingue all’estero durante gli anni liceali, questa sua competenza acquisita c’è, sia o non compresa nel curriculum scolastico: al datore di lavoro poco importa la burocratizzazione, la questione che gli interessa è se questa persona conosce o no le lingue straniere ( e questo esempio vale per qualsiasi altra competenza).
Pensare che il problema sia quello di scrivere o non scrivere le competenze extrascolastiche sul documento finale è sintomo di un errore di prospettiva: la questione vera è (sarebbe) quella di proporre a tutti gli studenti la possibilità di frequentare questa iniziative ulteriori rispetto al programma abituale quotidiano della scuola. Ma per far ciò occorrerebbe un deciso impegno politico e finanziario, ricorrendo sia alla scuola di stato che alle altre agenzie formative: questo sì che sarebbe un contributo alla diminuzione della diseguaglianza, ma è decisamente più difficile e impegnativo.
Ha voglia la politica di occuparsene sul serio?