di Daniela Annaro
“Nella pittura si viene a formare un misterioso rapporto tra l’anima del personaggio e quella di chi osserva il quadro. L’arte del pittore è tanto più intima al cuore dell’uomo quanto più essa sembra legata alla materia:
perché il pittore, come la natura, dà esattamente a ciò che è finito come a ciò che è infinito quanto gli spetta, vale a dire ciò che l’anima trova, negli oggetti che colpiscono soltanto i sensi, che la commuova intimamente”.
E’ il 1822 quando Eugéne Delacroix annota sul suo diario queste parole. Ha compiuto da poco ventiquattro anni, essendo nato a Charenton-Saint-Maurice, Parigi, il 26 aprile 1798. E’ agli esordi della carriera, figlio di ricchi altoborghesi. Alcune fonti storiche parlano di lui come figlio naturale di Charles-Maurice de Talleyrand, camaleontico personaggio politico, sia per la grande somiglianza fisica che per il carattere, del resto Talleyrand era amico intimo della famiglia. E’ in quell’anno, il 1822, che Eugéne decide di tenere un journal, un diario. La sua arte ha già fatto scalpore. Nello stesso anno dipinge la Barca di Dante, episodio tratto dall’ottavo canto dell’Inferno dell’Alighieri.Una grande tela ora conservata al Louvre.
Delacroix amava Dante come Shakespeare, Tasso come Goethe. Oggi lo consideriamo come il più importante pittore romantico francese. E’ lui, con Theodore Gericault, suo amico e collega, a spianare la strada alle correnti pittoriche realiste ed espressioniste. Impiega poco meno di tre mesi per dipingere quest’olio. Rappresenta un evento drammatico. Mentre il demone nocchiero traghetta Virgilio e il suo discepolo al di là delle acque melmose, dove si ergono le mura della città di Dite, la navicella viene attaccata dai dannati della palude: sono iracondi e accidiosi che scontano la pena eterna. Appassionato protagonista della storia che si compie sotto i suoi occhi, Eugéne si schiera dalla parte dei deboli, ha un fortissimo senso patriottico e un forte impegno civile. Per questo è inviso al potere che lo critica ferocemente. Proprio con lo stesso spirito, in pochissimi mesi, realizza il suo capolavoro, un dipinto emblema per la storia moderna della Francia: “La libertà che guida il popolo”. E’ il 1830.
Sull’onda emotiva dell’insurrezione di Parigi contro la monarchia, nel luglio di quell’anno Delacroix dipinge il quadro qui sopra quasi di getto. Non è un racconto di un fatto avvenuto in quei giorni, è un’ allegoria. Una giovane donna, scalza e dal seno scoperto, guida il popolo alla vittoria: impugna il tricolore, rappresenta la madre-patria, i suoi figli sono lavoratori, intellettuali, artigiani, operai e studenti che combattono e non temono di perdere la vita per lei.
La libertà che guida il popolo fu esposto nel 1831 al Salon. Il dipinto fu al centro di violentissime critiche, ciò nonostante venne acquistato dallo Stato ed esposto al Museo de Luxembourg, dove però venne immediatamente messo nei depositi. A un certo punto, la tela venne addirittura restituita all’artista. Undici anni dopo la morte di Delacroix (avvenuta nel 1863) trovò posto definitivamente al Louvre.