di Fabrizio Annaro
Secondo un recente sondaggio, condotto da Eurobarometro e pubblicato da Avvenire il 21 novembre 2018, gli italiani che apprezzano la moneta unica sono aumentati passando dal 50% al 60%.
Sondaggio Eurobarometro
Nel sondaggio oltre il 90% degli intervistati si è dichiarato d’accordo sulla necessità di potenziare e migliorare le istituzioni monetarie che accompagnano la vita dell’euro. Un risultato a sorpresa considerato quanto sta accadendo in questi ultimi mesi in cui i media riportano il continuo scontro fra il nostro governo, sostenuto da ampi consensi elettorali e l’Unione Europea.
Soli contro Bruxelles
L’Italia, però, è rimasta sola. Nè la Spagna nè il Portogallo e neppure la Grecia o l’Ungheria di Orban se la sono sentita di appoggiare il nostro governo nella battaglia contro la Commissione Europea.
Le turbolenze dei mercati associate all’incertezza del nostro governo sull’Euro, con tutta probabilità, hanno spinto molti italiani a convincersi che la messa in discussione della moneta unica potrebbe rivelarsi un terribile autogol finanziario.
Ogni giorno lo spread in prima pagina
Certamente le notizie ansiogene sullo spread hanno contribuito ad accrescere i consensi verso l’euro e probabilmente anche le dichiarazioni di personalità autorevoli hanno fatto la loro parte. Molti economisti fra cui il premio Nobel Joseph Stiglitz, consigliano vivamente all’Europa di riformare la BCE, potenziare le istituzioni monetarie ed accelerare nell’integrazione economica dei paesi dell’euro. Una ricetta ribadita anche da Mario Draghi che ha recentemente sottolineato l’importanza dell’integrazione bancaria e monetaria.
I consigli del premio Nobel Stiglitz
Stiglitz, tra l’altro, suggerisce di allargare le sfere di competenza della Bce. Oltre all’inflazione, la banca centrale, come la Federal Reserve americana, dovrebbe occuparsi della disoccupazione e dei salari.
Draghi invita governi e sindacati ad aumentare i salari
L’anno scorso, precisamente il 6 aprile del 2017, Mario Draghi, rilasciò una dichiarazione passata quasi inosservata. Per vincere la deflazione e rilanciare la crescita – disse Draghi – serve aumentare i salari.
Una dichiarazione contro corrente che avrebbe dovuto suscitare l’entusiasmo dei sindacati e delle forze di sinistra. Nulla è accaduto, occasione persa. Se fosse stata colta l’importanza di questa dichiarazione, il dibattito si sarebbe spostato dal debito alla distribuzione della ricchezza fra i principali attori dello scenario economico cioè fra imprenditori e finanzieri, da una parte e lavoratori, fasce deboli e povere della popolazione, dall’altra. In verità per poter aumentare i salari e gli stipendi, non solo in Italia ma in tutti paese dell’Unione, servirebbe una maggiore integrazione europea.
La Storia: l’Euro non è stata la prima moneta unica
Vista la situazione complicata delle relazioni degli stati dell’Unione sorge spontanea la domanda? L’euro potrà reggere? Apriamo una pagina di storia che ci può aiutare a trovare una risposta.
La corona scandinava: un esperimento durato 42 anni e naufragato alla viglia della Grande Guerra
In verità l’euro non è la prima moneta unica fra alcuni Stati europei. Ci sono stati già due esperimenti che non hanno avuto successo. Il primo con la corona scandinava, nata nel 1872 con l’adesione di Norvegia, Svezia e Danimarca (che comprendeva anche l’Islanda). I tre paesi si accordarono sull’uso di monete comuni, basate sulla circolazione di una corona in oro.
La parità aurea comportava inoltre un regime di cambi fissi dei tre paesi con l’Impero britannico e con quello tedesco. La corona scandinava durò 42 anni e cessò di esistere il 2 agosto 1914 a seguito dello scoppio della Prima Guerra Mondiale e sotto il peso della crescita esponenziale del valore dell’oro.
La scarsa coesione politica e lo scenario bellico imposero il ritorno alle monete nazionali: corona norvegese, danese, svedese, monete tutt’ora in corso legale. Da notare che proprio questi tre paesi, Svezia, Norvegia, Danimarca non hanno adottato l’euro, ma hanno preferito rimanere con la moneta nazionale.
L’Unione Monetaria Latina parte nel 1865 e si conclude nel 1927
La seconda esperienza di unione monetaria è quella latina, nata il 23 dicembre 1865. Francia, Belgio, Italia, Svizzera diedero vita ad un accordo per scambiare le loro monete nazionali sulla base di uno standard di oro e argento. L’accordo entrò in vigore dal 1º agosto 1866.
Successivamente aderirono Spagna, Grecia Romania, Austria, Ungheria, Bulgaria, Venezuela, Serbia Montenegro, San Marino e lo Stato Pontificio. A causa delle fluttuazioni dell’argento e dell’oro provocate dalla prima guerra mondiale, l’unione entrò in crisi e, malgrado gli sforzi per mantenerla viva, i paesi dell’unione monetaria latina decisero, nel 1927, di porre fine all’esperienza.
E’ nato prima l’uovo o la gallina? Dobbiamo dar vita agli Stati Uniti d’Europa oppure rafforzare l’integrazione?
L’esperienza storica suggerisce che l’unione monetaria fra diverse nazioni funziona nel caso si realizzi forte coesione politica, sociale ed economica fra i diversi paesi. Oggi l’euro sembra trovarsi ad un bivio: o si rafforzano le istituzioni monetarie e l’integrazione salariale e previdenziale, oppure il meccanismo rischia di generare, come già accade, squilibri e forti disuguaglianze economiche e sociali fra diversi paesi.
Un limite strutturale dell’euro è la mancanza di protezioni in caso di attacchi speculativi ad un paese dell’Unione. Infatti la Banca Centrale non può intervenire se non c’è l’unanime consenso degli stati dell’unione monetaria. Inoltre in caso di gravi crisi, anche naturali, (come le alluvioni sul nostro territorio) non esistono istituzioni di solidarietà dedicate a far fronte a situazioni di crisi e di emergenza.
Un’ Europa solo economica oppure anche una grande arcipelago di culture?
L’Europa è un arcipelago di nazioni, culture spesso molto distanti fra loro. Ha senso concepire l’Europa solo come una grande nazione economica? E la dimensione spirituale? E il pensiero, l’arte, la cultura? La storia ci insegna che le nazioni nascono o per annessioni di territori confinanti oppure sulla base di ideali di fratellanza, di libertà, di uguaglianza, di desiderio di felicità.
Che fare, allora?