di Roberto Dominici
In un saggio del 2014 scritto dal paleoantropologo Daniel Lieberman che lavora all’Università di Harvard, dove è professore di Scienze Biologiche e nel Dipartimento di Biologia Evoluzionistica Umana, noto soprattutto per le sue ricerche sull’evoluzione della testa umana e del corpo umano, dal titolo “La storia del corpo umano” (evoluzione, salute e malattia, cod. Edizioni), viene proposta la tesi secondo cui la salute del corpo umano è strettamente intrecciata alla sua storia evolutiva, a come esso nei millenni è cambiato in relazione all’ambiente circostante. Pertanto è necessario guardare al nostro passato remoto per capire non solo come siamo, ma anche come saremo e come potremo essere.
D’altronde, ci dice Lieberman, l’evoluzione umana, e con lei la storia del nostro corpo, è tutt’altro che conclusa. Se da un lato l’uomo ha raggiunto condizioni di vita e un benessere prima impensabili, dall’altro è travolto da un’ondata di vecchie e nuove malattie, alcune delle quali letteralmente esplose a livello mondiale come il diabete, le demenze, l’obesità.
Una enorme problematica sanitaria per i singoli individui, ma anche economica e sociale per intere comunità. In particolare, le malattie neurodegenerative (come l’Alzheimer, il Parkinson, la SLA, etc.) ed altre come le malattie autoimmuni e cardiovascolari, sono malattie croniche non trasmissibili (MCNT). Un termine fondamentale per spiegare in chiave evolutiva queste malattie complesse è quello del “mismatch evolutivo” un concetto che presuppone una complessa analisi che coinvolge la biologia evoluzionistica, genetica, neuroscienze e medicina. Ma cosa si intende per mismatch evolutivo ?
Il mismatch evolutivo (o “discordanza o discrepanza evolutiva“) si verifica quando un tratto che si è evoluto in un certo ambiente diventa disfunzionale o mal adattativo in un ambiente moderno diverso. Un esempio classico è la predisposizione all’obesità: geni che nel passato, favorivano l’accumulo di grasso erano vantaggiosi in ambienti di scarsità, ma sono diventati un problema nel nostro ambiente attuale caratterizzato da un eccesso e da un’ abbondanza calorica. Gli argomenti che rinforzano questa tesi riguardano l’aumento della durata della vita cioè il tempo trascorso tra la nascita e la morte di un individuo (lifespan); tale aumento si traduce in un incremento della longevità. Le malattie neurodegenerative sono in gran parte malattie dell’invecchiamento.
L’evoluzione ha “selezionato” tratti per garantire la sopravvivenza fino all’età riproduttiva, non necessariamente oltre e Il cervello umano non si è evoluto per funzionare in modo ottimale fino agli 80-90 anni, quindi il declino cognitivo potrebbe riflettere un mismatch tra la nostra biologia evoluta e la longevità moderna. Un altro aspetto da considerare è quello legato allo stile di vita moderno: l’attività fisica, la dieta, il sonno e la stimolazione cognitiva odierni sono molto diversi da quelli dei nostri antenati, e questi cambiamenti potrebbero aver contribuito all’accelerazione di processi neurodegenerativi.
Gli ambienti attuali altamente stressanti, poveri di stimoli naturali e ricchi di agenti inquinanti possono interagire con predisposizioni genetiche, favorendo l’insorgenza di malattie neurodegenerative. Semplificando si può dire che l’evoluzione biologica che avviene attraverso cambiamenti nelle caratteristiche genetiche degli organismi nel corso del tempo, è generalmente più lenta rispetto all’evoluzione culturale, che riguarda la trasmissione e il cambiamento di conoscenze, credenze, valori e comportamenti nelle società umane. L’evoluzione culturale è più rapida dell’evoluzione biologica (basti pensare solo all’uso di tecnologie come internet che si è diffuso in pochi decenni) perché si basa sulla trasmissione di informazioni e comportamenti tra individui, mentre l’evoluzione biologica richiede cambiamenti genetici.
Questa differenza può creare tensioni, ma anche opportunità per l’adattamento umano. Ci sono anche argomenti contro questa affascinante teoria che riguardano il fatto che bisogna considerare sia l’influenza della forte componente genetica ma anche l’impatto della componente stocastica, cioè quella parte di un sistema influenzata dalla variabilità, da fattori casuali o aleatori, quindi imprevedibili.
Alcune malattie neurodegenerative hanno basi genetiche note (es. mutazioni nel gene che codifica per la proteina amiloide implicata nella malattia di Alzheimer ad esordio precoce, mentre altre sembrano derivare da processi stocastici, cioè accidentali e probabilistici come l’accumulo di proteine mal ripiegate, ecc., difficilmente collegabili direttamente al mismatch evolutivo. Inoltre un altro aspetto da considerare è che non tutte sono malattie della longevità, la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e altre forme possono colpire anche adulti giovani.
Ciò suggerisce che non tutte queste malattie siano attribuibili semplicemente a vivere “troppo a lungo”. Pertanto alcune malattie neurodegenerative possono essere parzialmente considerate malattie da “mismatch evolutivo”, soprattutto in relazione ai seguenti fattori: l’aumento della longevità rispetto alle pressioni selettive storiche; i cambiamenti radicali nello stile di vita e nell’ambiente; l’interazione tra predisposizioni genetiche e fattori ambientali moderni. Tuttavia, non tutte queste malattie possono essere spiegate unicamente in questi termini e pertanto, le malattie neurodegenerative sono un fenomeno complesso, multifattoriale che include elementi genetici, epigenetici, stocastici e ambientali. Il nostro compito è quello di favorire tutti i fattori di resilienza e protettivi per la salute del cervello che ci permettono oggi di ridurre il rischio di ammalarci domani.
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