di Giacomo Laviosa
Fu subito la Santa per eccellenza dei siracusani. Si legge nell’iscrizione di Euschia venuta alla luce nel 1894 ”Euschia la irreprensibile, vissuta buona e pura per anni circa 25, morì nella festa della mia Santa Lucia per la quale non vi ha elogio condegno: (fu) cristiana, fedele, perfetta, grata al suo marito di morta gratitudine”.
Il suo culto ben presto si diffuse fuori della Sicilia stessa come documenta l’inserzione del nome della Santa nel Canone della Messa da parte di papa S. Gregorio Magno (604). A Roma le vennero dedicate una ventina di chiese; nell’Italia settentrionale la troviamo effigiata a Ravenna in S. Apollinare Nuovo nella processione delle vergini; in Inghilterra e nella chiesa Greca. Dopo le scoperte geografiche del secolo XV, il suo culto si estende particolarmente nell’America Latina, nell’Africa, in alcuni luoghi dell’America del Nord.
La sua festa liturgica ricorre il 13 dicembre. Fino all’introduzione del calendario gregoriano (1582), la festa cadeva in prossimità del solstizio d’inverno (da cui il detto “santa Lucia il giorno più corto che ci sia”). La celebrazione della festa in un giorno vicino al solstizio d’inverno è probabilmente dovuta alla volontà di sostituire antiche feste popolari che celebrano la luce e si festeggiano nello stesso periodo nell’emisfero nord. Altre tradizioni religiose festeggiano la luce in periodi vicini al solstizio d’inverno come ad esempio la festa di Hanukkah ebraica, che dura otto giorni come le celebrazioni per la santa a Siracusa, o la festa di Diwali celebrata in India.
Il culto di Santa Lucia inoltre presenta diverse affinità con il culto di Artemide, l’antica divinità greca venerata a Siracusa nell’isola di Ortigia. Ad Artemide, come a Santa Lucia, è sacra la quaglia e l’isola di Ortigia. Artemide e Lucia sono entrambe vergini. Artemide è inoltre vista anche come dea della luce mentre stringe in mano due torce accese e fiammeggianti.
Anche in Svezia Lucia è molto venerata, sia dalla chiesa cattolica, che da quella luterana.
La mattina del 13, la figlia maggiore della famiglia si alza ancor prima dell’alba e si veste con un lungo abito bianco legato in vita da una cintura rossa; in testa una corona di foglie con sette candele utili per rischiarare il buio. La bambina vestita come santa Lucia sveglia gli altri membri della famiglia e serve loro i biscotti cucinati il giorno precedente.
Ogni anno c’è un’elezione per la Lucia di Svezia che si reca a Siracusa durante i festeggiamenti di santa Lucia, partecipando anche alla processione dell’ottava, quando il simulacro di santa Lucia viene ricondotto in Duomo.
Lo Spirito Santo
Giunta al sepolcro di Agata a Catania per implorare la guarigione dalla malattia da cui era affetta la madre Eutichia, Lucia è presa da un profondo sonno che la conduce ad una visione onirica nel corso della quale le appare Agata che, mentre la informa dell’avvenuta guarigione della madre le predice il suo futuro martirio, che sarà la gloria di Siracusa così come quello di Agata era stato la gloria di Catania. Al ritorno dal pellegrinaggio, sulla via che le riconduce a Siracusa, Lucia comunica alla madre la sua decisione vocazionale di consacrarsi a Cristo. A tale fine le chiede pure di potere disporre del proprio patrimonio per devolverlo in beneficenza.
La notizia dell’alienazione dei beni paterni arriva subito a conoscenza del promesso sposo della vergine che, dopo averla assecondata con il miraggio di investimenti redditizi, forse esacerbato dai continui rinvii del matrimonio, decide di denunciare al governatore Pascasio la scelta cristiana della promessa sposa, la quale, condotta al suo cospetto è sottoposta al processo e al conseguente interrogatorio.
Dopo un interrogatorio assai fitto di scambi di battute che la vergine riesce a controbattere con la forza e la sicurezza di chi è ispirato da Cristo, il governatore Pascasio le infligge la pena del postribolo proprio al fine di operare in Lucia una sorta di esorcismo inverso allontanandone lo Spirito santo.
Minacciata di essere esposta tra le prostitute, Lucia rispose: “Il corpo si contamina solo se l’anima acconsente”. Il proconsole allora ordinò che la donna fosse costretta con la forza, ma lei diventò così pesante, che decine di uomini non riuscirono a spostarla. Il dialogo serrato tra lei ed il magistrato vide addirittura quasi ribaltarsi le posizioni, tanto da vedere Lucia quasi mettere in difficoltà l’Arconte che, per piegarla all’abiura, le fece cavare gli occhi. Lucia, cieca, non si piegò a nessun tormento fino a quando, inginocchiatasi, venne decapitata. Prima di morire preannunciò sia la morte di Diocleziano, avvenuta di lì a pochi anni, sia la fine delle persecuzioni, terminate, secondo una versione tradizionale della storia, nel 313 d.C. con l’editto di Costantino che sanciva la tolleranza religiosa e la libertà di culto.
Il corpo
Il corpo di S. Lucia rimase in Siracusa per molti secoli: dalla catacomba, dove fu sepolto, fu poi portato nella basilica eretta in suo onore, presso la quale, all’inizio del VI secolo, fu costruito un monastero. Il complesso monumentale di Piazza Santa Lucia a Siracusa, luogo del martirio della Santa Patrona, è oggi inglobato nella zona della Borgata, quartiere nato solo alla fine dell’ 800, e comprende la Basilica di Santa Lucia al Sepolcro e l’annesso convento dei Padri Francescani, il Tempietto ottagonale, che custodisce il sepolcro della Santa e la Catacomba, risalente ai secoli III-V e utilizzata come luogo di culto anche nei secoli successivi.
Già dal 878 però, dopo la conquista araba della Sicilia, il corpo della Santa non si trova più nel sepolcro. Di fronte alla minaccia della diffusione islamica il suo corpo fu nascosto in un luogo segreto. Nel 1039 Maniace, generale di Bisanzio, strappata Siracusa agli Arabi, condusse le reliquie a Costantinopoli. Da qui nel 1204, secondo la tradizione più accreditata, il doge Enrico Dandolo le portò a Venezia dove ebbero diverse sedi prima di trovare la sistemazione definitiva (1860) nella chiesa di San Geremia, oggi Ss Lucia e Geremia.
L’immagine
Lucia nel corso dei secoli e nei vari luoghi diventa una promessa di luce, sia materiale che spirituale. E proprio a tale fine l’iconografia, già a partire dal secolo XIV, si fa interprete e divulgatrice di questa leggenda, raffigurando la santa con simboli specifici e al tempo stesso connotativi: gli occhi, che Lucia tiene in mano o su un piatto accompagnati sovente dalla palma, dalla lampada, dal pugnale e, più raramente, dalle fiamme.
Simboli che sono legati alla diversa interpretazione del martirio nelle varie influenze culturali. Il pugnale ad esempio riporta alla passio latina, secondo la quale santa Lucia non fu decapitata, come invece descrive il Martyrion greco, ma pugnalata alla gola. E Jacopo da Varagine nella Legenda Aurea, testo di riferimento e fonte di gran parte dell’iconografia religiosa, non fa menzione del supplizio degli occhi durante il martirio.
Innumerevoli le raffigurazioni nella storia dell’arte. La più nota è probabilmente opera di Caravaggio, il “Seppellimento di Santa Lucia”, opera commissionatagli forse grazie all’amico siracusano Mario Minniti anch’egli autore di una pregevole tela raffigurante il martirio di santa Lucia.
Una raffigurazione accompagnata da una storia curiosa si trova a Milano, nel tramezzo dell’Aula dei Fedeli di san Maurizio al monastero maggiore. Sulla parete sono presenti quattro sante martiri: santa Cecilia, santa Giustina, sant’ Apollonia e Santa Lucia.
Santa Lucia è l’unica che guarda verso lo spettatore e, per questo motivo, la critica pensa che Bernardino Luini voglia far capire qualcosa, e rimandare l’attenzione alla cappella di santa Caterina d’Alessandria, immediatamente vicina e con le scene della decapitazione che potrebbero alludere alla tragica fine di Bianca Maria di Challant, giovane nobile vicina a Ippolita Sforza, condannata alla decapitazione per adulterio e per aver commissionato l’omicidio del marito.
La figura di santa Lucia, nel corso dei secoli, è stata fonte di ispirazione non soltanto sul piano artistico, ma anche letterario.
A lei si ispirò Dante Alighieri guarito in gioventù, per intercessione della Santa, da una malattia agli occhi. Gratitudine, speranza e ammirazione indussero il sommo poeta ad attribuirle un ruolo fondamentale nella Divina Commedia come simbolo della grazia illuminante.
“Qui ti posò ma pria mi dimostraro li occhi suoi belli quella intrata aperta: poi ella e ‘l sonno ad una se n’andaro.” (Dante Alighieri, Purgatorio IX, 61-63)
Molti dettagli storici della straordinaria vicenda di Santa Lucia e soprattutto delle sue spoglie, sono stati nel corso dei secoli sottoposti a interpretazioni diverse. La certezza invece sta tutta in un grido ripetuto con orgoglio il 13 dicembre di ogni anno:
“Sarausana iè!”
Giacomo Laviosa