di Francesca Radaelli
La fame nel mondo sta diminuendo. L’Indice Globale della Fame, Global Hunger Index (GHI) , presentato da Cesvi in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione lo scorso 16 ottobre, evidenzia un calo del 31% nel 2019 rispetto al punteggio di GHI registrato nel 2000. La fame nel mondo sta passando da grave a moderata. La sfida è ancora aperta, ma i numeri sembrano dare una speranza, mostrando che fame e malnutrizione non sono problemi immutabili.
Obiettivo: Fame Zero
Nel giro di quasi vent’anni, infatti, risultano migliorati tutti e quattro gli indicatori considerati dal rapporto: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni. Tuttavia, la percentuale di popolazione che non ha regolare accesso a calorie sufficienti è stagnante dal 2015, il numero di persone che soffrono la fame è salito a 822 milioni (erano 795 milioni nel 2015) e sono 149 milioni i bambini vittime di arresto della crescita a causa della malnutrizione.
Un dato positivo è però che se da un lato i costi della denutrizione sono devastanti – più dell’11% del PIL in Africa e Asia ogni anno- dall’altra parte investire oggi in nutrizione ha un elevato ritorno economico e un forte impatto in termini di costi-efficacia: numerosi studi dimostrano che 1 euro investito in nutrizione genera un ritorno di almeno 16 euro.
L’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile SDG2 – Fame Zero è stato fissato dalle Nazioni Unite per il 2030. La Banca Mondiale ha indicato che è necessario un investimento addizionale di 70 miliardi di dollari per i prossimi 10 anni per raggiungere questo target. Ma se i progressi continuano al ritmo attuale saranno circa 45 i paesi che non riusciranno ad attestarsi nemmeno ad un livello di fame basso.
L’impatto dei cambiamenti climatici
Il GHI misura la fame a livello globale, regionale e nazionale, e in questa quattordicesima edizione ci si è concentrati in particolare sul rapporto tra fame e cambiamento climatico: due sfide interconnesse che richiedono azioni immediate e soluzioni a lungo termine. Il report ha voluto sottolineare la necessità di dare priorità alla resilienza e all’adattamento, al miglioramento nella risposta alle catastrofi, alla trasformazione dei sistemi alimentari e alle azioni per mitigare il cambiamento climatico senza compromettere la sicurezza alimentare e nutrizionale.
I mutamenti nel clima hanno effetti devastanti su sicurezza alimentare, biodiversità, risorse idriche, ecosistemi, suolo e produzione agricola, con conseguenze su larga scala ovunque. Senza misure di adattamento entro il 2030 le rese mondiali dei raccolti diminuiranno in media del 2% per decennio, colpendo maggiormente le regioni più insicure dal punto di vista alimentare ed alimentando tensioni e disuguaglianze.
I più affamati
Le aree del mondo più colpite dalla fame restano Asia meridionale e Africa a sud del Sahara. In cinque paesi la fame risulta tuttora allarmante – Repubblica Centrafricana – o estremamente allarmante – Ciad, Madagascar, Yemen e Zambia; in 43 dei 117 paesi per cui sono disponibili dati la fame è a un livello grave. Il GHI di quest’anno approfondisce inoltre la situazione di Haiti e Niger, due paesi con livelli di fame grave e altamente vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico. Infine il livello di fame resta moderato, ma è altissima probabilità di disastri naturali dovuti ai cambiamenti climatici in Myanmar: Cesvi è presente in questo paese con un programma di interventi per potenziare la resilienza e favorire uno sviluppo agricolo efficiente e sostenibile.