Filastrocca di vita

di Claudia Terragni

Dire, fare, baciare, lettera, testamento. Scegline una.

Un gioco semplice che si fa da bambini: ad ogni parola corrisponde un compito, niente di complicato. È un passatempo sciocco, da fare senza particolare impegno. Un giochetto per sopravvivere agli interminabili viaggi verso il mare, quando il minuscolo spazio ricavato sui sedili posteriori di una macchina strabordante di bagagli non lascia spazio ad altro. Niente a che vedere con le appassionanti attività di cortile: non è richiesta la faticosa organizzazione di Guardie e ladri e neanche l’attenzione di Nascondino, ben che meno la rapidità di Ce l’hai.

Eppure non era facile.

È incredibile come il mondo dei bambini a volte sembri nascondere molto più di quanto appaia. Pare celare segreti cosmici, volti a preservare l’ordine dell’universo, favolosi tesori nascosti come quello del Capitano Flint. Il logos del mondo racchiuso in cinque compiti, una breve sequenza di cinque termini: dire, fare, baciare, lettera, testamento. Una formula magica, la parola d’ordine per accedere alla caverna delle meraviglie di Aladino. Da bambini ci limitavamo a ripeterli e a usarli, meravigliosamente ignari del valore di ciò che stavamo tramandando: un senso da dare alla nostra esistenza, cinque sfide da affrontare. Forse quelle che ognuno di noi deve superare nel corso della vita. Da piccoli si poteva scegliere: una cosa alla volta, sono piccolo io! Crescendo, l’ordine naturale delle cose ce le richiede tutte.

La prima prova: dire. Dire qualcosa di bello o qualcosa di brutto a un compagno di classe, alla maestra, al papà, alla sorella. Non temere l’altro, farsi coraggio, allontanarsi dalla rassicurante cerchia di amici, dirigersi verso la preda, guardarla negli occhi e parlare. Se da bambini spesso si trattava di complimenti imbarazzanti, insulti o frasi ridicole, da grandi il “dire” è ancora più impegnativo. Presuppone il pensare, ragionare, assumere una posizione e affermarla. A volte dimentichiamo l’importanza della parola, che sembra essere soppiantata dal valore dell’accettazione, del sapersi adattare e rassegnare al volere di un potere più grande.

E poi tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare! Infatti la seconda prova è proprio fare: fare un disegno, schioccare tre volte le dita, fare una treccia all’amica, fare un battimani. Semplice dirlo, meno farlo. Ma ormai abbiamo accettato le regole del gioco e dobbiamo buttarci, levare le ancore e affrontare il viaggio, troppo tardi per tornare indietro, ormai si deve partire. “Vola solo chi osa farlo” scrive Sepulveda.

E in questo viaggio ci è anche richiesto di baciare. Il terzo compito, tre, numero perfetto. Da bambini un bacio è un soffio, un minuscolo dono lasciato cadere per sbaglio sulla guancia arrossita dell’amichetto speciale. Ma la filastrocca non vuole un bacio. La filastrocca recita “baciare”. Troppo semplice spargere al vento baci sfuggenti , fugaci. Non un bacio, non l’inconsistente “apostrofo rosa” rivenduto dai Baci Perugina. Baciare, trasmettere ciò che il dire non è più in grado di comunicare. Non un nome comune di cosa ma un verbo, uno stupefacente tempo infinito. Oltre la semplice pulsione, dove risiede l’Amore proclamato da Platone nel Simposio: l’Eros “che tutto comprende in sé e tutto preserva”.

La quarta prova, lettera. Una doppia difficoltà: far indovinare al compagno di gioco una lettera disegnata con il dito sulla sua schiena e viceversa. Si deve scrivere e leggere. Scrivere per esprimersi , per non dimenticare e non essere dimenticati: un elegantissimo metodo tutto umano nato per risolvere esigenze pratiche, per superare limiti mnestici e temporali, la pozione fatata dell’immortalità, come ci insegna Foscolo. Ma anche leggere, dunque non essere egoisti, ma ascoltare gli insegnamenti di chi prima di noi ha vissuto e di chi come noi vive e ha idee, conformi o meno alle nostre.

E poi testamento: la prova che nessuno sceglieva mai. Forse perché nessuno sapeva davvero che cosa richiedesse. C’erano bambini che imponevano di scrivere una lunga serie di oggetti da lasciare in eredità e c’erano invece quelli che, umilmente, chiedevano di scegliere un’altra prova perché non si capiva cosa prevedesse l’ultima oscura sfida. Il testamento: affrontare l’unica ipocrita esperienza umana che l’uomo non può esperire. Secondi il filosofo tedesco Heidegger, l’unica esistenza autentica sia caratterizzata dal vivere–per-la-morte, ovvero l’essere consapevoli del fatto che la morte è l’inevitabile poter-essere cui tende la vita umana, accettarla come caratteristica intrinseca della nostra esistenza. Cosa che non ci deve limitare o spaventare: siamo uomini e dobbiamo avere coscienza della nostra finitudine. Anzi questo ci permette di non sprecare la nostra vita in piaceri superficiali, ma di vivere autenticamente e lasciare un insegnamento, se vogliamo, di ciò che abbiamo vissuto: un testamento.

Tutto questo in una filastrocca. Un universo incantato racchiuso in una sfera di cristallo. È un tesoro fragile, delicato: conserviamolo con cura. Spolveriamolo ogni tanto, riscopriamolo. Quando da qualche lontana vallata del nostro io, riecheggia una sciocca canzoncina che cantavamo da bambini, non ignoriamola. Fermiamoci ad ascoltare la eco di una primordiale melodia che gorgoglia nelle nostre viscere. Lasciamoci guidare da questo sussurro. Ci sta parlando: è il tenue canto del bambino che eravamo che riemerge dal frastuono della nostra “maturità”. Ricordiamo ciò che inconsapevolmente imparammo da piccoli: dire, fare, baciare, lettera, testamento. Che questo sia il rassicurante suono che accompagna i nostri passi.

 

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