Un ampio manto azzurro accoglie otto fedeli. Maria li osserva, distaccata e, nel contempo, protettiva, ma non incrocia lo sguardo con nessuno di loro. Il viso altero, la fronte alta, manifesta consapevolezza ed esprime autorevolezza. E’ il 1462 quando Piero della Francesca (Sansepolcro 1420-1492) riceva quindici scudi per il Polittico della Misericordia, opera iniziata molto tempo prima ,nel 1442. A quell’epoca, Piero era già un artista affermato e richiesto aveva prodotto opere magistrali come, per esempio, la Leggenda delle vera croce, in San Francesco a Arezzo.
A Forlì, ai Musei di san Domenico, l’indagine su Piero della Francesca parte dall’immagine della Madonna delle Misericordia e galoppa lungo cinque secoli per dimostrare quanto l’artista di San Sepolcro sia stato una figura più che centrale sia per i suoi contemporanei che, quattrocento anni dopo, per storici e pittori a noi vicinissimi come l’americano Denis Hooper piuttosto che per un francese sofisticato come Balthus, al secolo Balthazar Klossowsky.
Che cosa rende immortale Piero della Francesca? La ieraticità e il mistero ancor’oggi non risolto di molti suoi dipinti? La monumentalità delle sue Madonne, dei Cristi flagellati e personaggi che popolano le sue tavole? I significati non decifrati dei simboli che utilizza? O la sua visione matematica e geometrica del mondo, rassicurante in apparenza e inquietante nel profondo?
L’elenco degli studiosi che si sono dati da fare per trovare risposte, nel corso del tempo, è lunghissimo.A loro dobbiamo la riscoperta, dopo centinaia e centinaia di anni di oblio, del grande Piero.
Negli anni Cinquanta dell’800, si innamorano di lui gli inglesi grazie anche all’acquisto nel 1861 da parte della National Gallery del Battesimo di Cristo: è il gruppo di Bloomsbury ad apprezzare la sua maniera sintetica della rappresentazione. Non rimasero insensibili neanche i francesi, pittori come Edgar Degas si recarono direttamente a San Sepolcro per ammirare le opere che lì erano conservate e sopravvissute.
Sì, perché, dopo il successo in vita, perfino Raffaello dipinse sopra gli affreschi di Piero su richiesta esplicita di papa Giulio II. Così come sono stati persi irrimediabilmente gli affreschi di Ferrara e Firenze. Come sono andati perduti altri lavori realizzati ad Ancona, Pesaro e Bologna.Ma tutto questo non ha impedito un grandissimo storico come Roberto Longhi di cogliere l’essenza profonda del “monarca della pittura“, come lo aveva definito il matematico, suo allievo, Luca Pacioli a cui dettò, ormai cieco in tarda età, le sue riflessioni sulla geometria.
Il focus della mostra sta qui: Piero della Francesca ritrovato.
Sono quasi duecento le opere, cinque di Piero, che raccontano tutto questo. Gli artisti a lui coevi (Domenico Veneziano, Beato Angelico, Paolo Uccello e Andrea del Castagno),quelli che attinsero da lui(Luca Signorelli , Melozzo da Forlì, Antonella da Messina, Giovanni Bellini) e, come dicevamo molti secoli dopo, pittori accademici come i francesi Johann Anton Ramboux e Charles Loyeux. Macchiaioli come Silvestro Lega e Giovanni Fattori, impressionisti e post-impressionisti come Edgar Degas e Pierre Puvis de Chavannes.
E il lungo elenco degli italiani del Novecento tra i quali Felice Casorati , Giorgio Morandi, Massimo Campigli. Un’eredità ritrovata e spiegata.
Daniela Annaro