di Daniela Annaro
E’ il 30 marzo 1746 quando in casa di José Benito de Goya Franque , a Fuentedos, Saragozza, arriva il quartogenito che prenderà il nome di Francisco José de Goya y Lucientes. Il neonato diventerà uno dei migliori pittori e incisori spagnoli. Goya ha lasciato un segno importante nella storia della pittura: ha saputo testimoniare con le sue creazioni artistiche e al di là delle convenienze le vicende del suo tempo. Un’epoca di passaggi straordinari e, nel contempo, devastanti.
Spregiudicato, forse anche libertino, Francisco era un uomo libero, un ottimo pittore – a Roma nel 1770 e il 1771 diventerà anche un grande incisore – possedeva una grande abilità manuale. Il successo arrivò presto, attorno ai venticinque anni, quando ricevette la prima importante commissione: le decorazioni a fresco all’interno della chiesa di Nostra Signora del Pilar a Saragozza. Fu proprio grazie a quel lavoro che la corte madrilena e i circoli aristocratici si accorgerà delle sue alte qualità pittoriche.
Merito anche di Rafael Mengs, pittore e teorico tedesco, a quel tempo sovrintendente alla Belle Arti di Spagna che gli commissionò i cartoni per le Arazzerie Reali. Goya ne produsse più di sessanta in diciotto anni. Era velocissimo e prolifico: nel corso della lunga vita, morì in Francia ,a Bordeaux, nel 1828, dipinse 550 tele e incise 280 tra litografie e acqueforti. Pittore di corte lo diventò nel 1789, l’anno dell’inizio della Rivoluzione Francese.
Tra mondanità e piaceri della vita, Goya comunque attraverso il suo pennello riuscì a restituire con estrema penetrazione psicologica la pochezza dell’aristocrazia madrilena. Folgorante il più celebre tra i suoi ritratti La Famiglia di Carlo IV, il regnante di Spagna, (che vedete qui sopra). Lo dipinse nel 1799, un anno dopo la nomina a “primo pittore di corte”. Ai nobili non risparmia nulla: l’aspetto non è migliorato, i difetti emergono con grande evidenza. Una denuncia della pochezza e vanità della corte, re compreso. Un’opera coraggiosa. E, del resto Carlo IV e la sua corte non era né amata né rispettata.
Tanto che Goya stesso avvertì il bisogno di allontanarsi da Madrid e di trasferirsi in Andalusia. A Siviglia, fu colto da un grave male. La diagnosi non fu resa nota. Lui stesso parlò di un “male per scarsa riflessione”, forse sifilide o avvelenamento da piombo, contenuto nei colori che usava. Di fatto fu costretto all’immobilità per un lungo periodo, più di un anno, periodo segnato da fortissime emicranie, vertigini, disturbi visivi e poi la sordità che lo accompagnò per il resto della vita. Una malattia che incise profondamente sul suo stile prima arioso e ricco di colore, ora cupo e buio. Come bui era i tempi.
“Il sonno della ragione genera mostri” si intitola questa acquaforte. Fa parte della serie “I Capricci” una raccolta di un’ottantina di stampe satireggianti i vizi e gli errori umani. Goya le realizzò a partire dal 1797. I soggetti erano molto audaci rispetto alla situazione politica e sociale della Spagna di quegli anni. Esprimono violenti attacchi contro la superstizione religiosa, contro il parassitismo della nobiltà, contro il malcostume e la mondanità degli aristocratici. Fecero molto scandalo, tanto che Goya decise di ritirare le stampe dal mercato.
Nel frattempo, Napoleone aveva messo sul trono di Spagna il fratello Giuseppe Bonaparte. E questo scatenò una rivolta antifrancese che ebbe fine solo nel nel 1814 con il ritorno al trono iberico di Ferdinando IV. Le conseguenze del conflitto, tuttavia, furono catastrofiche: le truppe napoleoniche si resero colpevoli di violenze alla popolazione civile. Francisco documentò quell’orrore nei suoi dipinti.
Nel 1819, persi i privilegi di pittore di corte e in piena restaurazione, Goya decise di abbandonare il suo paese e di trasferirsi in Francia. Non farà più ritorno a Madrid, se non per un breve soggiorno nel ’26. Nell’ultima stagione della sua vita, Goya abbandò temi tragici che fino a quel momento avevano segnato la sua pittura e tornò ai temi di genere, cari alle sue fantasie giovanile.
Oggi accadde anche: