di Francesca Radaelli
“E’ bello trovarsi di fronte a una porta che invita ad essere attraversata. Soprattutto in tempi come questi, in cui non solo molte porte vengono chiuse invece che essere aperte, ma addirittura in mezzo all’Europa vengono alzati dei muri veri e propri”.
A parlare così è Ada, una delle persone che si sono imbattute nella Porta del Dialogo durante la ‘sosta’ dell’opera al Triennale Museum, situato al terzo piano della maestosa Villa Reale di Monza. L’antico Belvedere della Reggia ospita oggi quello che è stato il primo museo del design italiano, inaugurato nel 2007 in un territorio, quello brianzolo, storicamente animato dall’attività di artigiani e mobilieri. Proprio durante la settimana del Salone del Mobile di Milano e del Fuorisalone l’opera itinerante realizzata dal designer lissonese Enzo Biffi ha trovato temporaneamente casa all’inizio del percorso espositivo, che mette in fila una serie di oggetti di arredamento di varie forme e stili, dalle sedie alle lampade alle scale di legno.
E in mezzo a questi oggetti di uso più o meno quotidiano la carica simbolica della Porta non sembra sfuggire alle persone che arrivano sin quassù, magari un po’ per caso, dopo una visita all’esposizione di Caravaggio o agli appartamenti dei Savoia ai piani inferiori.
“Mi fa pensare a un’entrata, l’inizio di un cammino, l’invito a intraprendere un percorso”, ci confida Oriana. “Ha un chiaro significato simbolico, ma allo stesso tempo mi fa venire in mente la Storia, tanto quella antica quanto quella contemporanea. Ha un aspetto arcaico che mi ha ricordato subito l’antichissima porta della città di Micene in Grecia. Ma mi ricorda tanto anche le porte che oggi stiamo chiudendo. E poi le porte abbattute delle città più antiche, i monumenti del passato che vengono distrutti, il poco rispetto per la Storia che l’uomo sta dimostrando in questi tempi”.
Anche Alberto ha associato la Porta del Dialogo a un simbolo che si può vedere ancora oggi sui resti lasciati da un’antichissima civiltà del passato: la falsa porta raffigurata su diverse tombe degli antichi Egizi. La disegna su un foglio, per farmi capire meglio: “Queste porte disegnate sui muri consentivano all’anima del defunto di passare nell’Aldilà dopo aver abbandonato la vita nel mondo degli uomini”, spiega. “Ed era importantissimo che ci fossero, sulle pareti delle tombe, perché solo la presenza della porta rendeva possibile un passaggio tanto importante. Però“, prosegue, “la prima immagine che mi sono rivisto davanti appena ho guardato l’installazione è stata quella della Porta dei migranti di Lampedusa realizzata da Mimmo Paladino. Simbolo di un altro tipo passaggio, non meno difficile. Qui al posto degli oggetti dei migranti ci sono dei fogli, da scrivere, forse è questo il simbolo del dialogo cui fa riferimento il titolo dell’opera”.
E se qualcuno, come Guidoriccio, si trova un po’ perplesso di fonte a un’opera che gli appare “decontestualizzata e difficile da decifrare”, qualcun altro, come Aldo, vorrebbe sapere qualcosa in più su chi l’ha realizzata e sul suo percorso artistico: “Sarebbe interessante capire come l’opera si inserisce nel lavoro complessivo dell’artista. E’ piena di significati simbolici, mi pare che ruoti intorno al concetto di ‘inizio’ e ‘fine’, ma poi ci sono anche dei fogli su cui scrivere e delle tuniche. Mi chiedo di chi siano, di qualcuno che è passato e se ne è spogliato?”.
A qualcuno la Porta pone domande cui è difficile dare risposte univoche, mentre qualcun altro, trovandosela di fronte, si sente invitato ad attraversarla, la Porta del Dialogo.
Rita, per esempio, che sta visitando il museo da sola e un po’ si rammarica: “Mi sarebbe piaciuto essere venuta qui insieme a qualcuno, un amico, un’amica, per superare insieme questa soglia. Conosco il libro da cui è tratta la frase scritta sulla locandina. E anch’io ne sono convinta: nessuno si salva da solo”.
Francesca Radaelli