di Carlo Rolle
Buongiorno, amici lettori, “Fuga da Bisanzio” contiene sette saggi di Iosif Brodskij (1940-1996), poeta e prosatore in russo e in inglese, esiliato dall’Unione Sovietica nel 1972 e successivamente vissuto negli Stati Uniti, che ottenne nel 1987 il Premio Nobel per la Letteratura. Proprio al 1987 risale l’edizione Adelphi che vedete.
Giovinezza di Iosif Brodskij
Brodskij era nato e visse per oltre 30 anni a Leningrado, oggi San Pietroburgo. Fu uno di quegli autori che, come Joseph Conrad o Vladimir Nabokov, arrivarono all’inglese relativamente tardi, partendo da una lingua madre più complessa e strutturata. Appresero l’inglese in gran parte dalla letteratura e quindi ne assorbirono l’incomparabile ricchezza lessicale, che valorizzarono pienamente anche perché abituati alla complessa sintassi delle loro lingue materne, il che li fece diventare molto rapidamente grandi prosatori in lingua inglese.
Appunto dall’inglese furono tradotti i sette saggi contenuti in questo libro, scritti tra il 1976 e il 1985. In essi, Brodskij, dal suo esilio negli Stati Uniti, parla dello strano mondo che si è lasciato alle spalle per sempre.
Emerge da questo libro il ritratto di un uomo dal carattere forte e dalla personalità anticonformista. Brodskij sentì molto presto su di sé e sui propri genitori, l’oppressione del regime di Stalin, regime che si preparava a scatenare una gigantesca “purga” nei confronti dei cittadini sovietici “di nazionalità ebraica”: in URSS l’ebraismo era una “nazionalità” e come tale annotata sui documenti, il che era un pretesto per varie discriminazioni.
La famiglia Brodskij, in previsione di un’imminente deportazione o prigionia, aveva già iniziato a vendere i propri mobili, quando Stalin improvvisamente morì nel 1953.
Il senso delle ingiustizie subite alimentò nel giovane Iosif Brodskij un impulso alla ribellione, che lo portò ad abbandonare la scuola a soli quindici anni, per iniziare una dura esperienza di fabbrica. In seguito avrebbe conosciuto anche il carcere.
I primi sei saggi di questo libro
I primi due saggi del libro, “Meno di uno” e “Guida alla città che ha cambiato nome”, parlano della sua infanzia e giovinezza a San Pietroburgo (allora Leningrado), la città più predeterminata e astratta del mondo, come l’aveva definita Dostoevskij, scenario grandioso di fatti terribili, il primo dei quali fu la sua stessa edificazione, un progetto faraonico di Pietro il Grande, attuato con costi umani spropositati.
Il terzo saggio, “Il figlio della civiltà”, parla del poeta Osip Mandel’štam, vittima delle grandi purghe staliniane, mentre il quarto, “Nadežda Mandel’štam (1899-1980)”, è dedicato alla moglie di questi, che divenne scrittrice anch’essa molti anni dopo la morte del marito: l’abitudine a preservare solo nella memoria le poesie di lui, che sarebbe stato troppo pericoloso tenere per iscritto, avevano fatto germogliare una grande prosa in una vita di grande povertà e sofferenza.
Il quinto saggio “Per compiacere un’ombra” è dedicato al poeta W.H. Auden, anche questo è molto interessante ed è un eccellente modo per avvicinarsi a questo grande poeta inglese, di cui Brodskij fu discepolo e amico.
Il sesto saggio, “Fuga da Bisanzio” è incentrato sulla “Seconda Roma”, cioè la città di Istanbul, che Brodskij visitò una volta uscito dall’Unione Sovietica. Lo sguardo di Brodskij è quello di un cittadino della “Terza Roma”, cioè della Russia, ed è interessante, perché la cultura, la religione e la lingua russa derivarono proprio da quelle di Costantinopoli.
“In una stanza e mezzo”
Il settimo saggio “In una stanza e mezzo” è dedicato alla memoria dei genitori di Brodskij ed alla sua vita con loro. Esso evoca un mondo duro e strano, molto diverso da quello a noi familiare.
L’Unione Sovietica, che si estendeva su un sesto delle terre emerse del pianeta, e che aveva perso decine di milioni di suoi cittadini nelle purghe staliniane e nella Seconda Guerra Mondiale, aveva paradossalmente una popolazione oppressa da una tormentosa mancanza di spazio personale, inteso in senso fisico, prima ancora che politico.
La costituzione riconosceva il diritto del cittadino sovietico ad uno spazio di 9 metri quadrati a testa, le dimensioni di una cella. Dopo la guerra, la politica cosiddetta di “condensazione” della popolazione aveva imposto la coabitazione di più famiglie in ogni appartamento, con il disagio quotidiano della cucina e del bagno in comune, della mancanza di privacy, della contiguità soffocante e spesso pericolosa con persone che il sistema incoraggiava alla delazione.
La sofferenza per le umiliazioni e per l’oppressione in cui la sua famiglia era vissuta traspare in queste pagine, così insolite per noi. Brodskij non riuscì mai più a rivedere i genitori dopo aver lasciato l’U.R.S.S.
Giudizio sul libro
Una terribile domanda aleggia inespressa specialmente nell’ultimo di questi saggi: quale giustizia può consentire che tante vite incolpevoli siano trascorse nella povertà e nell’oppressione? Brodskij non ha alcuna una risposta metafisica da offrire, e proprio questo rende così struggenti le sue sobrie pagine. Si sente in esse che le ferite dolgono ancora; non c’è in questo libro il comprensibile compiacimento dell’uomo placato dall’aver attinto un sogno che pareva irrealizzabile: il pieno sviluppo della propria creatività e la liberazione da un mondo che per lui era un carcere.
Nel complesso questo libro ci restituisce l’immagine di una realtà molto lontana da quella a noi familiare, descritta da un uomo intelligente, sensibile e coltissimo: in Unione Sovietica si leggeva infatti molta grande letteratura, perché le biblioteche offrivano un rifugio alla spartana durezza dell’esistenza.
Brodskij visse in due mondi opposti quasi in tutto: originali e sofferte considerazioni affiorano spesso nelle sue pagine. “Fuga da Bisanzio” di Iosif Brodskij è un libro molto interessante, amici lettori, e mi sento di consigliarlo vivamente.
Buona giornata e arrivederci alla prossima recensione.
In copertina: Giandomenico Tiepolo, “Studi di sfingi e pesci”, incisione.
Per chi fosse interessato, ecco i link alle precedenti recensioni