Fuori fase: Sst! Si governa – Chat e papàtrac

di Marco Riboldi

Sst! Si governa

Non eravamo più abituati.

Nei corridoi dagli alti soffitti affrescati, nelle aule già definite sorde e grigie, nelle stanze sontuose dove si muovono uomini apparentemente pensosi e gravati da responsabilità onerose… dovunque regna il silenzio. Si sentono qua e là sospiri tristi nostalgici: ah, i tempi dei proclami dai balconi di Palazzo (“abbiamo abolito la povertà!”), i felici momenti delle conferenze stampe nell’ora di maggior ascolto, il surreale spettacolo del tavolino traballante esibito in piazza, davanti alla sede del governo divenuta d’un tratto sede vacante! Rocco, dove sei? Conte, a noi! Niente: in una coltre di silenzio, si racconta di uomini al lavoro, in testa la bizzarra idea di sostituire all’immaginifico “faremo…” il più prosaico “abbiam fatto”.  Come diceva quello? “Fusse che fusse la vorta bbona!”

Chat e papàtrac

C’era un volta il capannello di mamme fuori dalla scuola. Scambio di compiti, qualche lamentela, un pizzico di pettegolezzi…tutto normale.

Poi, improvvisamente il mondo è cambiato. Sua Maestà il telefono cellulare ha generato la chat, che, come i peggiori virus, ha sviluppato una temibile, contagiosissima, micidiale variante: la chat di classe.

In questo pericoloso ambiente virale si muovono entità di diversa tipologia.

La Infida Ficcanasus, che venderebbe i figli per un buon pettegolezzo su un’altra mamma, si accompagna alla Credulona Gaia, che  prenderebbe per buone anche  voci sul cannibalismo rituale della maestra di scienze. La Mater Supersapiens, che padroneggia in modo inimitabile ogni problema didattico trova sponda nella Ansiosa Genitrix, cui bastano poche gocce di pioggia per invocare la sospensione di qualsiasi attività, nel timore che i bambini (fino ai 19 anni, termine del liceo e delle chat di classe) siano idrosolubili.

In questo oceano tempestoso e ricco di insidie, pochi padri che si sono incautamente lasciati coinvolgere  e le mamme di buon senso nuotano boccheggiando, in fremente attesa del diploma del figlio, arca di salvezza dai perigliosi flutti.

Il secondo, temuto fenomeno della relazione scuola famiglia si materializza quando, a fronte di eventi imprevisti o spiacevoli, si palesa il padre. Anche in questo caso le tipologie sono diverse, ma spesso il risultato è identico: il papátrac, ovvero la impossibilità di giungere ad una ragionevole conclusione della faccenda.

Il primo tipo è il padre-che-sa-come-di-fa: spiega che i ragazzi vanno presi così e cosá, che lui non avrebbe mai osato, ai tempi, che a casa gli basta guardare il figlio per farlo rigare dritto ecc. In genere esercita il suo sapiente discernimento giudicando i figli altrui.

Il secondo è il padre-che-ha-studiato.

Sventola prestigiosi titoli di studio, preferibilmente completati all’estero e/o esperienze professionali di livello. Se ne serve per spiegare perché l’insegnante non è  all’altezza e come bisognerebbe fare. Naturalmente non si pone il problema se sapere e sapere insegnare  siano competenze diverse: lui potrebbe fare tutto. Davvero un peccato abbia scelto professioni generalmente più lucrose.

Il terzo tipo è il papà psicologo.

Può essere un ingegnere, un idraulico o un astronauta, l’importante è che non sia uno psicologo, ma che si ritenga tale.

Lui sa qual è il problema del figlio, non ha bisogno di consigli o di esperti: se solo gli diamo retta, in un baleno scompariranno timidezze, fragilità, problemi d’ogni genere. È forse il più pericoloso: neanche sorrido sopra troppo, perché fa danno ai ragazzi più fragili.

Capite che se uno insegna deve essere proprio appassionato?

 

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