di Laurenzo Ticca
Una buona notizia. Gabriele Del Grande è stato liberato. Giornalista, blogger, documentarista era detenuto in Turchia da due settimane, da quando cioè si era spinto nella provincia sud-orientale di Hatay, al confine con la Siria . Voleva realizzare una serie di interviste con profughi siriani per un libro che sta scrivendo. La sua colpa era quella di non aver chiesto il permesso di inoltrarsi in quell’area del paese. Oggi la liberazione, il volo per Bologna, la soddisfazione dei familiari e della Farnesina. Una buona notizia che non deve farci dimenticare la realtà di un paese precipitato progressivamente nel dispotismo e nell’arbitrio. Sono decine ( per qualcuno saremmo ormai a 200) i giornalisti reclusi nelle carceri turche.
La loro colpa? Avere raccontato verità scomode per il regime, rivelato episodi inconfessabili , dato voce alle forze d’opposizione.
Basta leggere l’ultimo rapporti di Amnesty International per apprendere che nella Turchia di Recep Tayyp Erdogan la libertà d’espressione è sistematicamente violata: pressioni sugli organi di informazione, chiusura di redazioni, giornalisti licenziati, minacciati , aggrediti e incarcerati. E tutto ciò avviene in un paese membro della Nato e interessato a entrare in Europa. Un paese che gode dell’appoggio degli Usa. E’ stato proprio il neopresidente Trump a complimentarsi con Erdogan per il referendum che, il 16 aprile scorso, ne ha aumentato i poteri.
Un referendum sulla cui regolarità, lo ricordiamo, gli osservatori internazionali hanno sollevato seri dubbi. Resta l’angoscia per il futuro della Turchia e del suo popolo. La soppressione della libertà di stampa, la violazione dei diritti umani ogni giorno di più smascherano la natura del sultano Erdogan che dalla rivolta dei giovani a Gezi Park nel 2013, alle manifestazioni di piazza Taskim al fallito golpe ( se di golpe si è trattato) dell’estate scorsa ha manifestato la sua natura dispotica e totalitaria.