Tre fratelli in età diverse: Jacopo e Cosimo, proiettati verso l’autonomia, Moreno, invece, no. Quest’ultimo non potrà mai decidere per se stesso, perché non vede, è epilettico e non parla.
Dopo Zigulì, raccolta di stati d’animo in cui descrive, senza alcuna retorica, la convivenza con la malattia di suo figlio, Verga scrive un romanzo sulla paternità; vista sotto l’aspetto del padre che è attualmente, e del figlio che è stato nella prima parte della sua vita.
Non è facile scrivere di questo lavoro, perchè questa non è un’opera di fantasia, ma una finestra aperta sulla vita vera di un uomo e dei suoi tre figli, che ci rende partecipi di una quotidianità raccontata con realismo, dolore e rabbia.
Quella rabbia scatenata dal linguaggio ipocrita che circonda troppo spesso l’handicap, dalla macchina burocratica che riesce a complicare ulteriormente i problemi, dalle difficoltà oggettive che impediscono ai disabili di potersi muovere fisicamente nella loro stessa città. E, perché no, dal caso , dalla sorte, dal destino, o comunque lo si voglia definire, che, in alcune famiglie, fa giungere un bambino portato da una cicogna handicappata. Ma la rabbia, come spiega l’autore, non è fine a se stessa, è piuttosto un motore di ricerca per soluzioni ai tanti problemi quotidiani.
Ho avuto occasione di sentir parlare Verga, la mia sensazione è che preferisca risultare antipatico e scontroso anziché suscitare pietà in chi lo ascolta. Del resto, con gli sguardi e i commenti pietosi non si possono risolvere i problemi; servono, invece, volontà e impegno, occorre avere ben chiaro che la disabilità non riguarda solo una minoranza numerica di persone. L’handicap tocca tutti noi, da un punto di vista civico e morale, innanzitutto; bisogna aver sempre presente che può colpire chiunque, a caso, senza preavviso, anche solo per un incidente dalle conseguenze transitorie, oppure per i disagi legati all’avanzare dell’età.
C’è rabbia, ma anche tanto amore incondizionato in questa storia. Rivolgendosi a Moreno, Verga scrive che, attualmente, se avesse una bacchetta magica per poter cambiare la realtà, non la userebbe; perché adesso non desidera più che suo figlio possa essere diverso da quel che è. A meno che, ovviamente, non fosse proprio lo stesso Moreno a chiedergli di usare questo immaginario strumento, per poter avere quei gettoni di libertà che la vita gli ha negato.
Valeria Savio