Ginger, Fred e la violenza dei riflettori

di Francesca Radaelli

Inizia quasi al buio “Ginger & Fred”, la messa in scena teatrale di e con Monica Guerritore del film omonimo scritto e girato da Federico Fellini nel 1986. Lo spettacolo, in scena al Teatro Manzoni di Monza in questi giorni, si apre in una strana penombra, da cui pian piano emerge un gruppo di personaggi “in cerca di luce”.

La luce è quella dei riflettori di un programma televisivo, che li ha scritturati per la serata della vigilia di Natale in quanto “sosia” di personaggi famosi. Tra loro ci sono anche Amelia Bonetti (Monica Guerritore) e Pippo Botticella (Massimiliano Vado), in arte Ginger e Fred, che rivendicano la propria diversità rispetto al mondo dei sosia: non semplici imitatori di Fred Astaire e Ginger Rogers, ma veri ballerini professionisti, che in passato hanno formato una coppia di successo, abituata a esibirsi in spettacolari “tip-tap”.

Foto di Manuela Giusto

Pippo e Amelia si ritrovano dopo anni di lontananza proprio in occasione dello show e, riconoscendosi, leggono, l’uno sul volto e sul corpo dell’altro, i segni del tempo trascorso. Orgogliosi ed emozionati di tornare a indossare i propri costumi di scena – scarpe di vernice, vestito di seta, parrucca bionda -, preoccupati dell’accuratezza dell’esibizione che li vedrà tornare a calcare un palcoscenico, ben presto si rendono conto che saranno solo una minima parte dello “spettacolo”.

Perché quello che si appresta ad andare in scena è un susseguirsi di esibizioni volgari, caricature drammatiche, emozioni umane esasperate e urlate a beneficio della telecamera e di un pubblico in studio che applaude e ride a comando. Il tutto condito con abbondanti dosi di pubblicità, che sembra essere la cosa più importante di tutto lo show.

Protagonisti di questo show sono personaggi grotteschi e tragici.

Una donna con il sogno di vivere in televisione, picchiata dal marito, che in un primo tempo viene fatta ballare con occhiali scuri per nascondere i lividi del volto e poi viene truccata per farli risaltare maggiormente durante l’intervista strappalacrime. Un carcerato uscito momentaneamente di prigione per apparire in tv. Un anziano ammiraglio che deve portare una triste testimonianza ma è conciato talmente male che si teme non possa sopravvivere fino al “suo momento” sulla scena. Un conduttore istrione, ma anche un po’ isterico, che ricorda tanto quelli di alcuni talk show attualmente in onda sui canali nazionali.

Sono solo alcuni degli ingredienti mescolati nel gran calderone dello show. Le godibilissime interpretazioni degli attori divertono il pubblico in sala, trasformato, con un efficace espediente meta-teatrale, in un pubblico televisivo con l’obbligo di ridere e applaudire.

Foto di Manuela Giusto

E se, in tutto ciò, da un lato si manifesta l’incredibile preveggenza di Federico Fellini rispetto agli esiti dell’evoluzione dell’intrattenimento televisivo, dall’altro non ci si può sottrarre a una riflessione sul rapporto tra realtà e finzione, tra identità e maschera. O meglio tra la realtà drammatica della vita vera dei personaggi che si apprestano a vivere il proprio momento in scena (i propri cinque minuti di celebrità) e ciò che i riflettori dello studio televisivo vanno a illuminare, di questa vita, allo scopo di “strappare un applauso”.

Oggi la “Tv-verità” convive con i reality show e soprattutto con la realtà virtuale dei social network. Eppure la questione resta la stessa: per essere “vivi”, per essere “noi” bisogna essere illuminati dai riflettori?

Ginger e Fred, Amelia e Pippo, cercano di sottrarsi a un mondo a cui sentono di essere estranei. Rivendicano una professionalità – fare le prove con l’orchestra – che non viene capita da nessuno. La delicatezza dei loro sentimenti di malinconia e nostalgia, ma anche di affetto, se non amore, reciproco stride con la violenza dei riflettori di quel palco così diverso da quelli dei loro grandi successi ormai passati.

Eppure, alla fine, anche in Ginger e Fred vince l’amore per il palcoscenico e per la luce dei riflettori: anziani e non più agili come un tempo, non possono fare a meno di esibirsi nel loro tip-tap davanti a un pubblico che applaude a comando.

Il finale è malinconico e amaro. Fedele all’originale, come tutto lo spettacolo.

Alla fine, i lunghi applausi del pubblico monzese sono reali. E meritati da tutti gli attori.

 

Fotografie di Manuela Giusto
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