di Francesca Radaelli
Il 22 aprile si è celebrata la 50esima Giornata Mondiale della Terra, istituita dall’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 1970, per sottolineare la necessità della conservazione delle risorse naturali del nostro pianeta.
Google ha celebrato l’evento con uno speciale doodle, raffigurante The Bee, l’ape, simbolo di biodiversità a rischio. La Rai e le televisioni hanno proiettato documentari dedicati all’ambiente e all’importanza di proteggerlo. Su MyMovies è andato in onda Antropocene, l’epoca umana che mostra in modo spettacolare l’impatto dell’uomo sulla natura. Venerdì c’è stato lo sciopero globale per il clima dell’organizzazione Fridays for Future, l’ennesimo, “per chiedere giustizia climatica e risposte dai potenti”.
Uno sciopero virtuale, per ovvie ragioni.
Perché, naturalmente, tutta questa celebrazione del Pianeta Terra si è svolta in rete, in streaming, attraverso video e immagini proiettate e visionate sui nostri dispositivi elettronici.
Insomma, in questi giorni abbiamo cercato di ‘connetterci’ con la Terra soprattutto attraverso gli schermi artificiali. A qualche giorno dal ‘compleanno’ del Pianeta che ci ospita è proprio questo che fa sorridere.
Fa sorridere la distonia fisica e metafisica tra l’uomo ‘civilizzato’ e la Terra che abita. Una distonia che si è sentita più forte in questi tempi di minacce biologiche, di segregazione forzata dal mondo, di dispositivi di protezione dall’aria. Quell’aria che dovrebbe farci vivere e minaccia di avvelenarci.
Chiusi nelle nostre tane, abbiamo visto non solo sbocciare la primavera fuori dalle nostre finestre, indifferente alla nostra impossibilità di partecipare. Attraverso i nostri schermi, abbiamo visto passeggiare nelle nostre città animali che di solito non incontriamo. Abbiamo visto i cieli tornare limpidi, le acque dei canali cittadini pulite.
Un mese o poco più senza che l’uomo vada in giro per la Terra e alcune ferite iniziano a rimarginarsi. Anche questo fa sorridere.
Il cinquantesimo ‘compleanno’ della Giornata mondiale della Terra fa sorridere anche se si pensa all’età effettiva del nostro pianeta. E a quella dell’uomo. Se si pensa alle ere geologiche che hanno portato la Terra a divenire quella di ora. Al fatto che la Terra si è trasformata nel corso di ere geologiche millenarie e continua a trasformarsi di per sé, al di là delle piccole ferite lasciate dall’uomo sulla sua superficie.
Alcune ci sembrano gigantesche: l’enorme piaga delle cave di Carrara, le discariche a cielo aperto dell’Africa, l’enorme quantità di zanne di elefante fatte bruciare per combattere il bracconaggio. Alcune rischiano di farci morire, insieme ad altre specie animali e vegetali: l’inquinamento, il surriscaldamento. Eppure sappiamo che, scomparso l’uomo, queste ferite si rimarginerebbero in tempi minimi, rapportati all’età della Terra.
Ma a far sorridere può essere anche il termine ‘mondiale’ che dovrebbe rendere ‘universale’ quello che, pur piccolo di per sé, è già un universo per la maggior parte di noi – esclusi Gagarin, Armstrong, e i pochi altri che la Terra hanno potuto vederla come un puntino lontano in un Universo più grande.
Noi uomini, che non serve nemmeno un meteorite o un terremoto, basta un virus microscopico per ucciderci, proprio noi, vogliamo proteggere la Terra, a livello ‘mondiale’. Ma la Terra è materia: non muore, si trasforma. Non è certo lei che ha bisogno di essere protetta o salvata.
L’Antropocene non è che una minima sezione della sua storia.
La Terra io me la immagino come la Madre Natura di Giacomo Leopardi.
A mio parere, dell’uomo le importa ben poco.
E se uno di noi le facesse gli auguri, nella sua ‘Giornata’, penso che risponderebbe con una tremenda risata.