Sono passati solo 14 anni dal momento in cui l’Organizzazione mondiale della Sanità depennò dalle liste delle malattie mentali l’omosessualità. Un traguardo travagliato, ma profondamente concreto. Così, per ricordare questa storica decisione, nel 2007 l’Unione Europea ha indetto per il 17 maggio di ogni anno la “ Giornata Internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia”, per creare uno spazio di riflessioni e di azioni di lotta e di denuncia contro ogni violenza fisica, psicologica o simbolica legata all’orientamento sessuale e alla identità di genere.
Il discorso sembra correre senza intoppi. Ma in 78 paesi del mondo l’omosessualità è considerata un reato. In sette di questi, in particolare in Sudan, Yemen, Arabia Saudita, Iran, Mauritania e negli stati della federazione della Nigeria, che applicano la sharia, e nelle zone meridionali della Somalia, i rapporti tra persone dello stesso sesso sono puniti con la pena di morte. E spostandosi nei paesi europei, la situazione non sembra migliorare. Si legge sul sito di Amnesty “In Italia, la mancanza di una legislazione penale antidiscriminazione che contempli l’omofobia, la transfobia e la lesbofobia tra le possibili cause di discriminazione ha favorito l’aumento di intolleranza e verso le persone Lgbti [termine collettivo per indicare persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender, ndr]. Negli ultimi anni, attacchi verbali e fisici si sono verificati con sempre maggiore frequenza, mentre diversi esponenti politici e rappresentanti delle istituzioni hanno continuato a fomentare intolleranza e odio con dichiarazioni palesemente discriminatorie”. Tale lacuna legislativa, non assicura la tutela alle vittime di reati di natura discriminatoria legati all’orientamento sessuale. 2009, 2011: il Parlamento Italiano respinse la proposta di legge contro l’omofobia e la transfobia. “Il disegno di legge -si legge ancora sul comunicato di Amnesty International- mirava a introdurre l’aggravante di omofobia nei reati motivati dall’odio e dalla violenza sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere. Inoltre, nella legislazione italiana manca il riconoscimento della rilevanza sociale delle famiglie costituite da persone dello stesso sesso e dai loro figli. Ciò impedisce a molte persone di godere dei diritti umani essenziali per l’autorealizzazione e alimenta la stigmatizzazione delle persone Lgbti”
Non finisce qui. Passando in rassegna gli altri paesi europei, la situazione non sembra migliorare: i segnali di avanguardia, che altro non sarebbero che indici di civiltà, sono pochi e ancora molto immaturi. In Lituania per la “promozione in pubblico delle relazioni omosessuali” è prevista una multa fino al 3000 euro. Lo stesso in Turchia, dove la discriminazione legata all’orientamento sessuale è radicata nella legge e nella prassi: nel 2009, sono state uccise cinque donne transgender. Solo in un caso è stata emessa una condanna. Stessa storia in Albania. La situazione non migliora in Estonia, Ungheria, Grecia, Lettonia e Slovacchia.
Non è una questione di tolleranza. È una questione di civiltà di un Paese. E mentre in Italia abbondano le iniziative legate alla giornata di riflessione, in Francia passa la legge per i matrimoni e le adozioni gay, del resto, già legali in altri 14 paesi.
Camilla Mantegazza