di Fabrizio Annaro
Voluta da san Giovanni Paolo II, la Giornata Mondiale del Malato è giunta alla sua XXV edizione. “Questa ricorrenza desidera coinvolgere tutta la chiesa – ha esordito Monsignor Patrizio Garascia, (Vicario Episcopale della Zona V di Monza) all’apertura dei lavori del convegno monzese – e la società su temi spesso oscurati dai media e dalla nostra cultura: la malattia, il dolore, la sofferenza”.
Garascia ha ripreso alcuni passaggi del messaggio di Papa Francesco ricordando la frase che ‹‹Gli infermi, i portatori di disabilità anche gravissime, hanno la loro inalienabile dignità, è la loro missione nella vita e non diventano mai dei meri oggetti, anche se a volte possono sembrare solo passivi, ma in realtà non è mai così. I sofferenti, non portano in sé solamente il desiderio di guarire, ma anche quello di vivere cristianamente la propria vita, arrivando a donarla come autentici discepoli missionari di Cristo.
A Bernadette, Maria dona la vocazione di servire i malati e la chiama ad essere Suora della Carità, una missione che lei esprime in una misura così alta da diventare modello a cui ogni operatore sanitario può fare riferimento.›› Una riflessione, questa di Papa Francesco, ha concluso Garascia, che “invita la chiesa e gli operatori sanitari a stare accanto al malato, a prenderlo per mano, ad ascoltarlo”.
Ed è proprio la dimensione dell’ascolto l’atteggiamento con il quale Silvia Lo Piccoli ha portato i saluti della Direzione Generale dell’ ASST San Gerardo ai lavori del Convegno promosso da Caritas di Monza, Zona V, Parrocchia San Gerardo Ospedale Nuovo, svoltosi l’11 febbraio presso la sala conferenze dell’Ospedale Nuovo.
Chiude la parte introduttiva del convegno il saluto di don Enrico Tagliabue, parroco e incaricato di una missione complessa ma ricca di umanità: stare quotidianamente accanto ai malati dell’Ospedale San Gerardo.
Ricco di spunti il confronto fra due medici: il Primario di Ematologia dell’ospedale San Gerardo, Pietro Pioltelli e l’oncologa del San Raffaele nonché suora delle Preziosine, Maria Grazia Viganò. Pioltelli è stato molto critico sia in riguardo all’evoluzione della medicina e della cura sia riguardo alla relazione fra medico e malato.
La relazione medico e malato è spesso oscurata dai protocolli e in un certo senso viziata da una formazione che non è più quella tradizionale dove il medico si forgiava seguendo i maestri. “Oggi – spiega Pioltelli – prevalgono i protocolli e con essi gli esami tecnici come la TAC , l’ecografia. Spesso somministriamo cure che non portano alla guarigione e assomigliano sempre più a torture che infliggono forti sacrifici ai pazienti.” Il medico è sempre più distante dal malato. Il rapporto prevalente è con la sua cartella clinica, con fogli e documenti, distante non solo dalla parola del paziente, ma dal suo stato d’animo, dal suo spirito e dalla sua sofferenza. Inoltre la cura risente del grande problema della sostenibilità economica delle terapie e delle strutture ospedaliere e ambulatoriali.
Ed è proprio la questione economica il tema ripreso anche da Maria Grazia Viganò. Il bilancio a volte non favorisce la cura e la relazione del medico con il paziente. “Mi trovo a visitare in ambulatorio – racconta la Suora – e devo farlo in 15 minuti incontrando persone con storie complesse che hanno bisogno di un ascolto attento perché hanno un tumore e la questione della morte è subito all’ordine del giorno”. Suor Maria Grazia ha raccontato storie di persone comuni e di come hanno reagito all’annuncio di un tumore inguaribile.
Persone di fede, impegnate nel sociale, contente della loro vita, ma che a un tratto la vedono irrimediabilmente spezzata. Ognuno reagisce in modo diverso.
“La fede ci aiuta a vivere la realtà umana della malattia – sostiene Suor Maria Grazia -. Il dolore è un mistero e solo il Dio di Gesù Cristo lo ha attraversato. Non c’è risposta al dolore dell’uomo, ma Dio lo ha vissuto per noi.
L’esperienza della fede come quella della malattia sono una consegna: la fede come abbandono, come fiducia assoluta è simile all’esperienza di chi vive una situazione di malattia grave.
Altri passaggi sono stati importanti per mettere in relazione il tema della cura e quello della fede: la professionalità come linguaggio della fede, il dire la verità al malato in parabole, il tema della morte in una società liquida.
Dopo averla seguita nelle cure – prosegue Suor Maria Grazia – una donna di 47 anni ha lasciato due figli e il marito. Al funerale il sacerdote ha pronunciato parole di grande consolazione non solo per il fatto che la fede sostiene il cristiano ma, ricordando le tappe della vita di questa donna, è riuscito a farci apprezzare la vita in tutte le sue manifestazioni compresa quella della prova. Gli ho domandato come avesse trovato quelle parole. Risposta: queste riflessioni non sono mie, le ho trovate nella notte mentre non riuscivo a dormire”.
Numerose le domande e gli interventi dal pubblico. Un diacono ha dichiarato la sua malattia e che spesso, paradossalmente, si trova a consolare i medici, ad ascoltare le loro problematiche. Una dottoressa in pensione ricorda che il rapporto fede e medicina non si può limitare al credo cristiano “penso sia utile allargare l’orizzonte confrontandosi anche con la visione delle altre religioni come la buddista, l’ebrea, la mussulmana”. Una signora sottolinea il bisogno di umanità perché il malato non è solo una malattia da curare, ma uno spirito vivo che ha bisogno di essere ascoltato. E infine il grande tema cristiano dell’offerta della propria sofferenza.
La terza parte del convegno è dedicata ad una testimonianza di eccezione: quella recitata dalle poesie di Padre Davide Maria Turoldo interpretate da Simone Giacobbe e accompagnate da musiche inedite ed improvvisate di Enzo Biffi.
E a conclusione il commento di Beppe Colombo che ci ha ricordato il travaglio di Turoldo durante la malattia e il suo rapporto con Dio e la fede.
Vi lascio con i versi di Turoldo pieni di luce e di speranza.
Non è l’orrendo Drago – di Padre Davide Maria Turoldo
Mio male non è l’orrendo drago
che pure mi addenta e si avvinghia su per il corpo
come il Serpente sull’albero della vita.
Mio male è sapermi impotente
a dire il tuo dramma, mio Dio,
di fronte allo stesso male:
il tuo patire della nostra pena
di saperci così infelici.
O di non cantare con degni canti
la festa che fai quando
un bimbo è felice
e un disperato torna a sperare …
Conclusioni affidate a Monsignor Silvano Provasi, Arciprete di Monza, il quale ha apprezzato i contenuti e le riflessioni offerte dai relatori e dal pubblico.
Provasi ha espresso soddisfazione per il fatto che il convegno sia stato svolto in Ospedale che rappresenta il luogo naturale per riflettere e celebrare la Giornata Mondiale del malato.
Fotografie di Giovanna Monguzzi