Giovani e anziani: ascoltarsi è possibile!

di Francesca Radaelli

“Giovani e anziani: risorsa reciproca?” La domanda nel titolo del  terzo incontro del ciclo dedicato al pensiero di papa Francesco, organizzato da Caritas Monza, si rivolge a un pubblico in realtà molto sbilanciato “sul secondo target”, o sui “diversamente giovani”, come li definisce Fabrizio Annaro presentando il tema dell’incontro, lo scorso lunedì 25 marzo. Ospite della serata è Monica Amadini, pedagogista e professoressa all’Università Cattolica di Brescia. La riflessione sul rapporto tra le generazioni nella nostra società prende le mosse dai messaggi lanciati da papa Francesco, un “anziano” estremamente attento ai giovani, in occasione della giornata dei nonni e della giornata mondiale della gioventù.

Da sinistra: Fabrizio Annaro, Monica Amadini, Gerolamo Spreafico

 “Nel pensiero del papa non ci sono due mondi separati, anziani e giovani, ma queste due realtà devono stare in relazione”, sottolinea Fabrizio Annaro. “Ai giovani papa Francesco chiede di custodire la memoria e di non credere a chi vorrebbe costruire un mondo senza radici. Agli anziani il papa dice di avere speranza, perché quanto hanno vissuto non vada perduto ma possa essere raccolto dai giovani. Ciò che mi colpisce”, continua Annaro, “è l’invito ad abitare il tempo nella pienezza. Nella nostra società la lontananza tra il nostro mondo e quello dei giovani è molto forte, ma poiché siamo nell’età della saggezza credo che stia a noi fare il primo passo e prenderci alcuni impegni”. Uno di questi è il discorso sulla pace: “La parola guerra sembrava dimenticata, invece sta diventando di moda, anche nei documenti della comunità europea. Siamo nel pieno di una corsa agli armamenti e credo che chi tra noi è stato impegnato nel movimento pacifista dovrebbe parlare ai giovani su questi argomenti”.

Le sfide a cui guardare

Il pedagogista Gerolamo “Mino” Spreafico, introducendo l’incontro, si sofferma alcune sfide che il papa indica nell’enciclica “Fratelli Tutti”, rispetto all’umanità che cambia e al rapporto tra generazioni.  Il primo tema è la globalizzazione e il suo legame con la fraternità: si tratta del mondo che è stato costruito dalla generazione degli attuali cinquantenni e verso cui il papa non risparmia le critiche. Il secondo la disuguaglianza: “il papa invita ad accorgersi degli esclusi nelle nostre società, in primo luogo degli anziani, coloro che “non servono più”, esorta i giovani a occuparsi di queste parti di umanità scartate”, sottolinea Spreafico. Il terzo messaggio è il tema della frenesia digitale e dell’ascolto: “la società della comunicazione e del digitale è un’opportunità ma bisogna continuare ad ascoltarsi”. Insomma, secondo il papa la società economica come l’abbiamo costruita è sbagliata, deve essere smontata e ricostruita.

Secondo il format degli incontri, ormai consolidato, la palla passa quindi al pubblico, chiamato a riflettere su una difficile questione: come affrontare il rapporto tra le generazioni?

“I giovani devono chiedere”, dice qualcuno. Qualcun altro si chiede invece come riuscire a ridare fiducia nel futuro alle generazioni più giovani. Altri citano il disequilibrio tra ciò che si spende per gli anziani e per i giovani. Un “giovane” di 26 anni prende la parola, dicendosi stanco di sentire che “il futuro è dei giovani” e richiamando chi detiene il potere oggi (non i giovani) al compito di occuparsi del futuro. Non manca un riferimento all’elezione del presidente della Repubblica, un anziano “costretto” a non poter “andare in pensione” e al ruolo ormai marginale dei cristiani nella società odierna.

Riscoprire l’incompiutezza e la fragilità. Ad ogni età

La pedagogista Monica Amadini, chiamata a raccogliere gli spunti di riflessione del pubblico, fornisce una preziosa chiave di lettura. “Il compito di tutti noi è formarci alla vita e la caratteristica di tutti, giovani e anziani, è l’incompiutezza”, esordisce la pedagogista. “Nella vita non possiamo mai dirci arrivati, siamo sempre a contatto con la fragilità. Aver rimosso incompiutezza e fragilità ci porta verso economie di guerra, ricerca della violenza come unica strada, ma ci porta anche alla perdita dello sguardo sul futuro. Guardare al futuro vuol dire fare i conti con l’incompiutezza, con la sconfitta, la fallibilità, il limite”. Una riflessione su questi temi permette di superare la distanza tra le generazioni. “L’incompiutezza dei giovani è legata al “non ancora”, mentre l’età anziana è l’età del “già”. In entrambi però c’è il rischio di non fare ciò che il papa ci invita a fare: andare oltre. Papa Francesco dice che ognuno deve dare, nella stagione in cui è: questo è osare, andare oltre. Questa è la sfida culturale per il cristiano, per cui il papa usa anche un altro verbo: uscire”.

Insomma il futuro non è solo dei giovani, è di tutti, e la memoria può essere un’occasione per ripensare il futuro. Questa, dice il papa, deve essere una vocazione, anche per gli anziani. Monica Amadini gioca proprio su questa parola: vocazione può essere anche provocazione. La pedagogista cita una serie di provocazioni contenute nelle parole di papa Francesco e fa riferimento al discorso in cui il papa cita la figura di un giovane che si rivolge a Gesù parlando in modo aggressivo contro gli anziani, e chiedendogli come possa nascere un uomo quando è vecchio. La risposta di Gesù è anche la strada che il papa suggerisce: aprendo il vostro cuore

Dare frutti nella vecchiaia: la rivoluzione della tenerezza

Continua Monica Amadini: “Il papa cita il salmo 92: “Nella vecchiaia daranno ancora frutti”. Non c’è una stagione della vita in cui si smette di dare frutti: l’albero non dà frutti senza le radici, e questo è il modo di essere generativi nella vecchiaia. È vero che nella nostra società la spesa è più consistente sugli anziani”, ammette la pedagogista. “Ma si tratta di una spesa assistenziale, che rafforza una narrazione preoccupante dal punto di vista sociale: come dice il papa “nell’assistenza si smorzano i progetti di esistenza”. L’assistenza rende passivi, non riconosce ruolo sociale: bisogna invocare invece spese generative, che aprano progetti di esistenza. Un altro salmo afferma: “Non gettarmi via nel tempo della vecchiaia”: tanti anziani chiedono questo anche oggi, nonostante le ingenti spese per l’assistenza agli anziani”.

Come uscirne allora? “La strada è quella delle relazioni, una scelta che papa Francesco affida agli anziani. Si tratta di una scelta d’amore a cui gli anziani sono chiamati verso le nuove generazioni: il papa la chiama la rivoluzione della tenerezza. Chiede agli anziani di essere maestri di un modo di vivere pacifico e attento ai più deboli, di portare frutto nel mondo di oggi”.

Da sinistra: Fabrizio Annaro, Monica Amadini, Mino Spreafico

E’ infatti il papa stesso a ricordare che “Siamo passati tutti dalle ginocchia dei nonni che ci hanno tenuti in braccio”. Oggi per il papa è il tempo per tenere sulle ginocchia non solo i nostri nipoti, ma anche tutti i bambini e ragazzi: tutti hanno bisogno per crescere della figura dei nonni. “Il papa mette al centro il ruolo dell’essere anziano, indipendentemente dal legame di sangue. Così si può ricostruire la fiducia, si costruisce da bambini, quando qualcuno ti insegna che del mondo e delle persone ti puoi fidare”

E proprio i nonni sono le persone che più di tutti incarnano la fiducia: testimoniano che si appartiene a una storia, testimoniano la fiducia incondizionata. “I nonni hanno capacità di accogliere, senza  le aspettative, senza le ansie dei genitori, con meno pretese. Per crescere c’è bisogno anche di questo tipo di registro”.

Qualche indicazione pratica

Quale strada percorrere, concretamente, per dare ancora frutti? Monica Amodini prova a rispondere anche a questa domanda.

“Occorre dare delle giovani generazioni letture non sottrattive, bisogna andare oltre il “non ancora” o il “non abbastanza”: i giovani hanno bisogno di prospettive. Allo stesso modo occorre che i giovani non si limitino a definire le generazioni più attempate come generazioni che non riescono, non sanno più, non capiscono”.

Un’altra indicazione concreta è quella di provare a leggere nei sogni e nei timori delle giovani generazioni una strada, una ricerca di senso. “A volte i ragazzi ci stupiscono per la loro fragilità, ma crescere rimane un’avventura di ricerca del senso. L’aiuto degli adulti può essere quello di testimoniare il valore dell’errare, compiere errori. Dobbiamo aprire all’errore, mettere a tema la possibilità di sbagliare. Riappropriarci di una semantica dell’errore è un modo per insegnare e imparare a stare nella vita. È proprio qui che siamo fragili come adulti: cerchiamo di appianare gli ostacoli per i nostri giovani, perchè vorremmo che non soffrissero, ma non è così che insegniamo loro a vivere,. Piuttosto occorre stare accanto a loro mentre sbagliano. Altrimenti il messaggio che diamo è sbagliato: non ho abbastanza fiducia in te, quindi intervengo.  Oppure: non ho abbastanza fiducia nella vita, quindi ti proteggo da lei”.

L’importanza di ascoltarsi

Invece, secondo Monica Amadini, è proprio nelle cadute che si ricostruisce il senso della vita. “Lo si ritrova attraverso le relazioni, in particolare nell’ascolto, che viene prima della parola. Se vogliamo che i giovani imparino ad ascoltare dobbiamo insegnare loro a farlo. E si impara se prima si è stati ascoltati. Invece, gli adulti di oggi fanno tutto tranne che fermarsi. Chi riesce a fermarsi oggi sono proprio gli anziani. È quindi giusto che l’anziano sia colui che insegna a fermarsi”.

Oggi sono i nonni coloro che ascoltano i giovani, coloro che riescono a donare loro il tempo. “Oltre al dono del tempo è importante il dono dell’ospitalità: quello di accogliere le ricerche e i vissuti. Non è facile ascoltare, ma può farci capire il senso della ricerca dei giovani. E magari può spingerci a mettere in discussione certi modelli, a partire dall’eccesso di aspettative”. Monica Amadini sottolinea che oggi sui giovani ci sono tante aspettative e poche attese. Attendere significa seminare e dare tempo, l’attesa è tempo della pazienza, della fiducia. È il contrario del tempo dell’accumulo. Le aspettative invece sono alimentate dalla logica dell’accumulo: ti do tanto, mi aspetto tanto. L’attesa invece è un tempo non quantitativo ma qualitativo. E questo tempo dell’attesa può nascere proprio dall’ascolto”.

In chiusura, un’altra ripresa delle parole di Papa Francesco ai giovani: “Scusateci se non vi abbiamo dato ascolto, se anziché aprirvi il cuore vi abbiamo riempito le orecchie”.

A conclusione della serata la professoressa Amadini porta la voce dei giovani, leggendo e donando al pubblico le parole scritte dai suoi studenti dell’università per i più anziani. Al pubblico viene data la possibilità di scrivere a questi giovani, in risposta.

Insomma: un piccolo esperimento di possibile dialogo intergenerazionale.

 

Ecco il video della serata

 

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