di Francesca Radaelli
“Alla ricerca della felicità” è il titolo scelto quest’anno da Caritas Monza per il tradizionale percorso della Settimana della carità, che nei giorni scorsi ha visto succedersi – con la conduzione di don Augusto Panzeri e Fabrizio Annaro – una serie di incontri online serali dal titolo “Ci vediamo dopo il TG” i cui protagonisti sono stati giovani monzesi provenienti da diverse realtà sociali. Dagli studenti del liceo Frisi a quelli della scuola popolare del Carrobiolo, passando per un gruppo di ragazzi con disabilità: sono stati loro a rispondere a una serie di sollecitazioni rispetto all’idea di felicità. Con risultati a tratti sorprendenti, sicuramente capaci di spiazzare gli adulti in ascolto.
La parola ai giovani liceali
Che differenza c’è tra felicità e star bene? È la domanda posta ai ragazzi del liceo dal loro professore in apertura del primo incontro. La prima appare ai ragazzi come un “picco” momentaneo, mentre lo “stare bene” è una condizione costante: la felicità è qualcosa che dura poco, “se fossimo felici sempre non saremmo davvero felici”, affermano i ragazzi. Emerge nelle loro riflessioni il legame tra felicità e libertà e quello tra la felicità e l’essere soddisfatti delle scelte che si fanno.
Cosa vi rende infelici? chiede poi l’insegnante. La paura del giudizio degli altri è l’elemento che domina le risposte dei ragazzi, così come la difficoltà di fare accettare la propria diversità.
Interessantissimo è proprio il tema delle relazioni con gli altri. Ci si chiede se davvero la felicità possa essere considerata tale solo se condivisa, se l’Altro sia una risorsa oppure un ostacolo per la felicità. I ragazzi rispondono immediatamente che c’è una differenza tra l’Altro che si conosce e che ci comprende – famiglia, amici,.. – e l’Altro che ci è ignoto. Qualcuno però, in un secondo momento, riflette sul fatto che l’Altro rappresenta sempre qualcosa al di fuori di sé e arriva ad esprimere la convinzione che la felicità sia effettivamente possibile solo nella relazione con le altre persone.
Qual è la vostra idea di felicità pensando al futuro? è la domanda conclusiva. Felicità nel futuro per qualcuno è “trovare la strada giusta e correrci sopra”, per qualcun altro è “un futuro in cui posso svegliarmi ogni mattina sapendo di andare a fare qualcosa che mi piace e avere tempo per coltivare i propri interessi”.
E, alla fine, il futuro appare promettente e pieno di speranza forse anche agli spettatori adulti di questo primo incontro, che ha avuto il merito di mostrare una profondità di riflessione e un livello di maturità che non sempre ci si aspetta di trovare nei discorsi di ragazzi appena maggiorenni.
Giovani adulti con disabilità si raccontano
Il secondo appuntamento, quello del mercoledì, è stato dedicato all’idea di felicità secondo la prospettiva dei ragazzi disabili. L’incontro ha visto la presenza delle pedagogiste ed educatrici volontarie dell’associazione Tu con noi, che hanno guidato la discussione interpellando alcuni ragazzi con cui lavorano nei centri diurni. Anche le parole di questi ultimi sono state sicuramente una sorpresa per gli ascoltatori. Innanzitutto per la consapevolezza che questi ragazzi hanno dimostrato nel dare voce a chi di solito non ne ha, mostrandoci che spesso la fragilità, seppur più visibile in alcuni, è in realtà dentro ognuno di noi.
Alla domanda “Che cos’è la felicità?” le risposte sono semplici ma non banali: “stare con gli amici”, “avere l’autonomia”, “stare con sé stessi”. I ragazzi si soffermano sulle strategie che mettono in atto per tirarsi su di morale quando capita di essere tristi – per qualcuno la pratica di uno sport, per qualcun altro il mettersi davanti allo specchio in modo “riflessivo” – e queste appaiono delle risposte valide per tutti noi, al di là delle specificità individuali. Anche quando don Augusto di Caritas Monza chiede a ciascuno di loro “Quando sei davanti allo specchio ti piaci?”, dalle risposte emerge una profonda consapevolezza della propria diversità legata alla disabilità, ma anche un forte orgoglio per la propria unicità: ”La diversità mi piace”, afferma qualcuno, “non mi interessa compiacere gli altri”. Ammette qualcun altro: “Però, quando qualcuno mi giudica, mi disprezza, questo mi fa innervosire e mi arrabbio”.
Colpiscono poi le risposte alla domanda su quale sia il desiderio più grande pensando al futuro: riprendere lo sport per stare meglio, ma anche -per qualcun altro- con l’obiettivo di partecipare ai mondiali di atletica, e poi stare di più con gli amici, avere una propria famiglia.
Una felicità possibile ai “margini”?
Il terzo e ultimo appuntamento è con i giovani di periferia, la cui portavoce è Simona Ravizza, direttrice del Carro, la cooperativa che si occupa della scuola popolare del Carrobiolo, lavorando con ragazzi che sono usciti dal sistema scolastico, ma anche con quelli che frequentano il doposcuola. Un luogo che vede la presenza anche di ragazzi che fanno esperienze di volontariato e rappresenta un importante punto di incontro tra giovani al centro della città.
Viene mostrato un video che contiene le risposte dei ragazzi alla domanda sulla felicità. Nel filmato ragazzi che non amano essere esposti, nemmeno sui social media, hanno deciso di mostrarsi, sottolinea Simona Ravizza.

I ragazzi del Carro sono felici? le viene chiesto da conduttore dell’incontro Fabrizio Annaro: “A volte sì a volte no, come tutti i ragazzi”, risponde lei. Però aggiunge: “Ma non è universale il modo e il motivo con cui ciascuno vive la propria felicità, per questo bisogna riconoscersi e ascoltarsi”. Come prima reazione qualcuno di questi ragazzi associa la felicità alla mamma, qualcuno provocatoriamente alle sostanze stupefacenti. Alla fine però emerge la convinzione che la felicità sia legata all’essere amati: “Questo è qualcosa che dura tutta la vita, non appartiene solo ai ragazzi”, afferma Simona Ravizza. “La felicità a loro appare spesso difficile, perché è difficile parlare di futuro”. Ma sottolinea anche una nota di speranza: “Il lavoro con i ragazzi al Carro è spesso difficile e “faticoso”, però è bellissimo per noi operatori vedere come loro siano capaci di sorprenderci: hanno davvero la capacità di fiorire sul cemento”.
Meraviglia, a tratti stupore, e una speranza nuova con cui guardare al futuro. Questi sono i sentimenti che, nel corso delle tre serate, sono stati suscitati dalle parole di questi giovani ragazzi molto diversi tra loro, ma con un tratto in comune, al di là dell’età anagrafica: il fatto di essere poco ascoltati. Soprattutto in merito ai discorsi che gli adulti fanno su di loro. Invece, forse, sono proprio gli stessi ragazzi a poter dare alcune delle risposte più sensate su un tema che mette in crisi trasversalmente giovani e adulti: la felicità, la sua ricerca, la sua effettiva possibilità, in un futuro che appare sempre più incerto.