Gioventù malata?

di Francesca Radaelli

I giovani sono malati di malinconia?

Depressione, ansia, autolesionismo, disturbi alimentari, dipendenze sono solo alcuni dei fantasmi che spaventano genitori ed educatori a contatto con un mondo, quello degli adolescenti, che appare sempre più difficile da comprendere.

Proprio a loro, ai giovanissimi e al loro malessere è stato dedicato, lo scorso 10 febbraio all’Ospedale san Gerardo di Monza, il convegno dal titolo “Malinconia e nostalgia: tristi passioni dei nostri giovanissimi?” promosso dalla Caritas della Zona Pastorale V in occasione della Giornata mondiale del malato, in collaborazione con Fondazione IRCCS San Gerardo dei tintori. 

Dopo i saluti introduttivi del cappellano dell’Ospedale S. Gerardo di Monza, Don Riccardo Brena, del dottor Silvano Casazza, direttore generale Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza, e del vicario episcopale monsignor Michele Elli, la parola è passata a chi con gli adolescenti e i loro disagi lavora tutti i giorni.

A cominciare dalla psicologa Alice Contrino, che, sollecitata dal moderatore del convegno Fabrizio Annaro, ha voluto dare una serie di indicazioni per districarsi nel groviglio dei disturbi e dei comportamenti dei più giovani, spesso indecifrabili agli occhi degli adulti.

Fabrizio Annaro

Adolescenza: la più grande trasformazione

Ha precisato innanzitutto come l’adolescenza sia un’età di trasformazione, il periodo di maggior cambiamento per l’essere umano. “Gli adolescenti non sono più bambini ma non sanno bene ancora chi sono, attraversano un importante cambiamento ormonale e corporeo”, ha sottolineato la dottoressa Contrino.

“Le ricerche ci dicono che attualmente c’è un’anticipazione della pubertà di quattro anni rispetto al secolo scorso: oggi abbiamo bambine con un menarca a 9-10 anni. Bisogna dunque tener presente che da un lato c’è un corpo che è già pronto per entrare in relazione in una certa modalità, ma dall’altro c’è una struttura cognitiva e neuronale che ancora non è pronta per questo. Questo cambiamento ormonale porta anche a dei cambiamenti a livello di strutture nervose: i ragazzi stanno ristrutturando il loro cervello”. Il cervello degli adolescenti riceve degli impulsi neuronali che li portano ad annoiarsi più velocemente, a ricercare maggiormente il rischio. Ma li rendono anche più vulnerabili alle dipendenze e alla caduta in momenti di depressione e di tristezza.

Da una parte, quindi, è normale che i ragazzi “funzionino” così, ma dall’altra questo può portare anche a entrare in una sfera di disagio più serio.

Da sinistra: don Claudio Burgio, Claudia Grasso, Alice Contrino

Tra i “compiti di sviluppo” dell’età dell’adolescenza, spiega la psicologa, c’è proprio quello di imparare a regolare le emozioni forti e al tempo stesso altalenanti che portano a vivere picchi emotivi di entusiasmo e di passione per poi precipitare improvvisamente nella tristezza. Altro compito di sviluppo che genera i disagi è quello legato all’accettazione della propria nuova forma corporea: “In questo i mass media non aiutano proponendo un ideale di perfezione estetica che spesso crea un senso di inadeguatezza nei ragazzi”.

La domanda più difficile

Durante l’adolescenza i ragazzi sono chiamati a rispondere alla domanda più difficile: chi sono chi voglio essere da grande. Da lì iniziano a costruire la propria identità.

Per farlo devono esplorare, uscire dai confini della casa e della famiglia, differenziandosi e mettendo in atto, a volte, dei comportamenti opposti a quello che mostrano i genitori. Un conflitto con gli adulti che però è necessario.

Un altro scoglio importante è la scuola: “C’è tantissima ansia da prestazione, fatica di affrontare un’interrogazione, di organizzare lo studio per le verifiche”, spiega la dottoressa Contrino. “Questo porta molti adolescenti ad avere un tasso altissimo di cortisolo, l’ormone dello stress, e disturbi psicosomatici come mal di pancia e mal di testa”.

Come riconoscere un disturbo depressivo

Alice Contrino si è poi soffermata sul disturbo depressivo, un disturbo dell’umore che presenta diversi sintomi: stati di insoddisfazione e tristezza in cui i ragazzi provano un senso di apatia, di noia, di vuoto e che si esprime nelle attività quotidiane, verso cui perdono interesse. La difficoltà sta nel distinguere i sintomi fisiologici tipici della ristrutturazione neuronale dell’adolescenza e quelli invece che manifestano un disturbo depressivo vero e proprio.  La dottoressa ha elencato quindi una serie di criteri pratici per provare a individuarlo: tra questi, frequenti pianti, un profondo senso di colpa e di inutilità, una mancanza di entusiasmo, di interesse, di motivazione, una a vedersi nel futuro, una difficoltà di concentrazione di motivazione. A questi si aggiungono disturbi del sonno e dell’alimentazione, talvolta pensieri di morte e suicidari. Inoltre, ha spiega Alice Contrino, a differenza di ciò che accade nell’adulto, a volte la depressione nel ragazzo si manifesta anche tramite comportamenti aggressivi di rabbia di opposizione.

Con la pandemia, afferma la dottoressa, questi sintomi depressivi sono radicalmente aumentati nell’adolescenza: la depressione è raddoppiata nei paesi d’Europa e la percentuale in Italia nella fascia di età che va dai 16 ai 24 anni è cresciuta di 10 punti: dal 14,4% del 2019 quindi pre-pandemia al 24,4% nel 2021.

Quale relazione?

Come relazionarsi quindi con adolescenti in difficoltà? Alice Contrino d qualche indicazione: “La prima cosa è aiutare i ragazzi a tradurre in parola la sofferenza che esprimono col corpo, come nel caso dell’autolesionismo o dei disturbi alimentari. Noi adulti possiamo provare a prestare loro le parole. Spesso nella mia pratica clinica spingo i ragazzi a scrivere una lettera su quello che vivono e sentono, indirizzata ai loro genitori”.

La psicologa offre alcune strategie per entrare in relazione con ragazzi che vivono un disagio: “La relazione è tutto”, afferma. “La nostra mente è relazionale, le nostre rappresentazioni mentali cambiano sulla base della relazione: se io cambio il mio modo di entrare in relazione con i ragazzi, cambio le rappresentazioni mentali dei ragazzi”.

La prima strategia è accogliere e rispettare il vissuto emotivo dei ragazzi: “Per farli sentire capiti e compresi, noi adulti possiamo ricordarci degli adolescenti che siamo stati noi, delle nostre fatiche, delle nostre difficoltà. Adesso la società è cambiata, è diversissima, ma quelle fatiche lì le abbiamo sentite anche noi rispetto all’accettazione dell’altro, rispetto alla nostra insicurezza. Per entrare in contatto con la vulnerabilità dei ragazzi dobbiamo ricordarci della nostra e io a volte suggerisco di raccontarla”.

Altra strategia importante è legittimare le emozioni, ma non i comportamenti: “E’ importante scindere ciò che è la rabbia, l’insicurezza, l’inadeguatezza, la sofferenza, il disagio da ciò che invece è un comportamento disfunzionale. ‘Io capisco che sei arrabbiato ma non va bene insultare il professore’: questo deve essere il messaggio”.

Le emozioni vanno accettate e accolte. Solo accettando i ragazzi così come sono possiamo anche valorizzare le istanze nuove della loro generazione rispetto al passato: “Oggi i ragazzi sono più attenti e sensibili a temi come l’ambiente, le diversità etniche, le diversità di genere. Bisogna cercare di entrare nel loro mondo, di esplorarlo, invece di chiedere a loro di capire noi. Dobbiamo provare ad avvicinarci anche agli aspetti che facciamo più fatica a comprendere, chiedere perché questo trapper ti piace, qual è il messaggio che ti arriva, quali contenuti. L’apertura comunicativa è la protezione principale: gli adolescenti possono vivere qualche rischio, qualche difficoltà, ma se ne parlano con l’adulto gli permettono di intervenire, star loro vicino, supportarli. Ma se l’adulto chiude la comunicazione, rifiutando tutto ciò che arriva dal loro mondo, loro non l’apriranno più”.

Altra strategia importante è quella di evitare etichette e diagnosi precoci: “L’adolescenza è un momento di evoluzione, passaggio, non bisogna definire subito perché il rischio è che quell’etichetta sia percepita come definitiva. La comunicazione migliore è questa: stai attraversando un disturbo depressivo, ma non vuol dire che sarai depresso per tutta la vita”.

Ultimo consiglio: nutrire le parti positive dei ragazzi. “Ha atteggiamenti da bullo, ma è bravissimo nel disegno, nella musica, nell’arte: cerchiamo di non etichettarlo come “bullo”, ma di sottolineare la parte positiva e creativa”.

Disturbi alimentari: lavorare sulla prevenzione

Su un altro pezzo del complesso puzzle del disagio giovanile, i disturbi alimentari, si è soffermata Claudia Grasso, responsabile del progetto Peso Positivo dell’Associazione Beppino Fumagalli, che ha fatto dei social network uno strumento di prevenzione. “Peso Positivo nasce con lo scopo di fare prevenzione dei disturbi del comportamento alimentare”, ha spiegato Claudia. “Durante la pandemia abbiamo deciso di provare ad arrivare al nostro target nel modo più facile: attraverso i social network”. Un target che in primis è costituito dai genitori, o comunque dagli educatori “per dare loro tutti gli strumenti per capire quando in un adolescente stiano insorgendo i primi sintomi di un disturbo del comportamento alimentare”.

Le ragazze a cui è stata affidata la pagina Instagram del progetto, Giulia e Beatrice di 24 e 26 anni, in passato hanno sofferto di anoressia. Oggi creano dei contenuti  “positivi”, tratti dalla loro esperienza.

Don Claudio Burgio e Claudia Grasso

Obiettivo del progetto è innanzitutto fare una corretta informazione in luoghi, i social network, dove spesso vengono veicolati messaggi sbagliati: “I social sono un campo minato, spesso troviamo delle persone che si improvvisano dottoresse o nutrizioniste, danno consigli che purtroppo influenzano negativamente i nostri i giovani”, racconta Claudia Grasso. “Noi invece alle spalle abbiamo un comitato tecnico scientifico formato oggi da 12 esperti – psicoterapeuti, psicologi nutrizionisti – che vagliano tutti i contenuti che vengono pubblicati”. Alla parte online si affianca l’attività nelle scuole e nei luoghi frequentati dai giovanissimi.

Un fenomeno in crescita

Le dimensioni del fenomeno dei disturbi alimentari spaventano: oggi in Italia ci sono circa 3 milioni di persone (per il 90% donne) che soffrono di un disturbo del comportamento alimentare, l’anoressia e la bulimia sono la seconda causa di morte tra i giovani dopo gli incidenti stradali. “Purtroppo oggi solo il 10% chiede aiuto e poche sono le strutture che permettono anche il ricovero”, spiega Claudia Grosso. “Dopo il lockdown sono aumentati del 30-40% i casi di disturbi del comportamento alimentare e l’età di insorgenza sta diminuendo: oggi si presentano casi anche di bambini di et inferiore a 10 anni. È importante sapere che si può guarire da un disturbo alimentare, ma il percorso è lungo: la durata media è 4-5 anni”.

La nostalgia dei “delinquenti”

Un quotidiano contatto con gli adolescenti e il loro disagio lo vive anche Don Claudio Burgio, fondatore dell’associazione Kairos e di diverse comunità che si occupano di minori, nonché cappellano del carcere minorile Beccaria. Nel suo intervento parla di “nostalgia”: questa è la condizione esistenziale che in fondo vivono i ragazzi che arrivano al Beccaria o in comunità: “Perdono la loro casa e la loro famiglia, o forse l’hanno già persa da tempo. La parola nostalgia esprime proprio questa sensazione di perdita del centro della loro esistenza che è anche la loro casa interiore. Questo genera una profonda disillusione rispetto ai desideri che il ragazzo ha vissuto”.

Don Claudio invita a guardare a questa nostalgia partendo da un’icona biblica: il racconto del cammino di Gesù con i discepoli di Emmaus. “Anche i discepoli di Emmaus vivono la profonda disillusione e la perdita di un sogno. Dopo la morte di Gesù si allontanano dalla vera casa da Gerusalemme e vanno verso una periferia, una situazione di fragilità. Proprio come molti ragazzi adolescenti che escono da casa e abitano le periferie di tutti i generi, quelle geografiche e quelle esistenziali. In loro c’è una nostalgia che è proprio sinonimo di perdita totale di sé”.

Spesso è l’esito di una fuga da sé stessi, per il non voler accettare una condizione di fragilità e di debolezza. “Il bullo spesso mette in atto  un sistema di difesa: attacca per primo per non dover soffrire la possibilità che qualcuno scorga la sua debolezza e la sua fragilità”. Il pericolo è che questa identità negativa si cristallizzi, che entrando al Beccaria si possa fare propria l’etichetta di “delinquente” come un’identità da rivendicare. “Invece la tristezza, la nostalgia può essere un kairos, un tempo opportuno per iniziare una nuova storia. Sei finito in cella, ma non sei finito: è ciò che dico quando i ragazzi arrivano in carcere”.

L’importanza di camminare accanto

È quello che don Claudio chiama “il metodo Gesù”: “Di fronte ai discepoli di Emmaus, Gesù si pone dentro un cammino condiviso e interroga, fa domande, si associa al dolore. Da qui deriva la mia decisione di vivere con questi ragazzi in comunità: non potevo starmene fuori a fare solo discorsi, ma per aiutare questi ragazzi a trasformare la loro nostalgia in una rinascita, in un ritorno a casa ho capito che devo camminare con loro. Gesù è uno che cammina accanto, non è uno che dall’alto arriva e pontifica. I ragazzi a volte pensano all’adulto come irrilevante e neanche più lo contestano perché l’adulto è fuori dal loro mondo, come un forestiero, che non capisce nulla della loro vita, dei loro dolori, dei loro problemi”.

La cura inautentica degli adulti

Secondo don Claudio gli adulti spesso cercano di tenere i ragazzi lontani dal dolore (cita lo slogan “andrà tutto bene” durante la pandemia di Covid) oppure di soddisfare tutti i loro bisogni, anche quelli meno necessari: il sacerdote, citando il filosofo Heidegger, parla a questo proposito di cura “inautentica”. Cura autentica è quella che segue l’esempio di Gesù, che stimola i discepoli con le sue domande e apre loro gli occhi. “Cura autentica è quella di chi fornisce gli strumenti per farcela, per ritrovare sé stessi”.

Don Claudio racconta poi la storia del rapper Baby Gang, che ha vissuto nella sua comunità, del suo sogno di diventare un musicista e della propria incredulità di fronte alla possibilità che questo percorso si realizzasse: “Oggi è fra i più ascoltati in Italia ed è il rapper italiano più ascoltato all’estero. A volte noi pensiamo di far rinascere un ragazzo come vogliamo noi, secondo i nostri criteri, e invece bisogna solo creare le condizioni perché la rinascita avvenga”.

Storie di scuola, e non solo

Restano impresse le storie vere raccontate da Marco Erba, giornalista e insegnante, altro mestiere che implica un contatto quotidiano con gli adolescenti e le loro emozioni.

La prima è però quella di Francesco, il figlio in affido, e della poesia con cui è arrivato, dal titolo “Il bambino affidato”: “La prima frase è la chiave di lettura di ogni rapporto educativo: “Egli è lui e non è un altro”. Di nuovo la necessità del camminare insieme, rispettando e accogliendo l’altro per ciò che è.

Da sinistra: Claudia Grasso, Alice Contrino, Marco Erba

La seconda storia è quella di Carolina, studentessa che ama provocare, che in classe ha sempre la gomma da masticare in bocca, che dorme durante le lezioni. È il suo tema sull’Eneide a sorprendere l’insegnante Marco Erba. Titolo: “Come l’Eneide ha parlato alla tua vita?”. Dopo aver dormito sul banco per tutte le lezioni sull’Eneide, Carolina scrive “Enea lo conosco di persona e lo vedo tutti i giorni, è mia mamma”. E prosegue descrivendo la propria infanzia come una città distrutta dalle fiamme e piena di macerie e la mamma che come Enea la ha presa per mano e l’ha portata via da quella città distrutta.

Il professore che dopo aver letto la prima frase stava per mettere un “quattro”, alla fine del tema le dà “10”: “Ho capito che come insegnante ed educatore devo scendere dalla cattedra e leggere le provocazioni andando oltre, cogliendo la nostalgia e la malinconia che sta dietro queste provocazioni”, commenta Marco Erba. .

Nostalgia di cosa? A rispondere è un’altra studentessa, Silvia, con il tema su “Cos’è l’amore?” Silvia sostiene che l’amore non esiste, sono i neuroni specchio, gli ormoni, l’istinto riproduttivo. Parla di relazioni disastrose, come quella tra i suoi genitori che ha avvelenato la sua infanzia. “Eppure, dietro alla disillusione si intravede sete di qualcuno che ti ami”, dice Marco Erba. “La crepa nella disillusione di Silvia, lo scrive lei stessa, è lo sguardo della nonna quando guarda suo nonno”.

E io di fronte a questa nostalgia d’amore cosa posso fare? si chiede il professore. “Posso dare fiducia a chi non se la merita”, risponde. “Posso dirti che tu non sei l’errore che fai, ma sei la tua potenzialità di riscatto. Posso contagiarti con una passione, farti capire che la vita è bella e degna di essere vissuta”.

Insomma, emozioni fortissime e contraddittorie, malinconia e nostalgia, disagi difficili da interpretare e comprendere. Ma anche una profondità del sentire che ogni tanto si rivela in epifanie inaspettate.

Quest’ultima è la parte da salvare a tutti i costi di quest’età bella e terribile che è l’adolescenza.

Una gioventù “malata” – almeno in apparenza – di malattie i cui sintomi spaventano il mondo degli adulti.

Ma soprattutto un’età di cui gli adulti hanno la possibilità, e anche la responsabilità, di prendersi cura nel modo più autentico. Accogliendola per quello che è e provando ad ascoltarla, mentre camminano a fianco a lei, sulla stessa strada.

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