Giustizia Riparativa: quando la pena non basta

di Francesca Radaelli

Quando la pena non basta, né alle vittime né ai colpevoli. Quando la risposta al conflitto viene cercata non nella separazione ma nell’incontro e nel dialogo. È in questi casi che si può parlare di giustizia riparativa. Il tema è stato al centro del convegno organizzato da Caritas Monza lo scorso sabato 4 marzo all’oratorio S. Biagio.

L’evento ha concluso la riflessione sulla costruzione della Pace, filo conduttore della Settimana della Carità iniziata lunedì 27 febbraio con la veglia di preghiera e proseguita nei giorni successivi con una serie di incontri “dopo il tg” trasmessi in streaming. Nel corso della settimana si è parlato di conflitti e di artigiani della pace, di famiglia, di giovani, di territorio e di lavoro. Sempre con la volontà di provare ad attraversare il conflitto, di passare attraverso le “brecce”, le ferite, senza negarle ma senza nemmeno farsi imprigionare.

Piergiovanni Bellomi, presidente della San Vincenzo di Monza, in apertura del convegno parla del Premio Carlo Castelli, diretto ai detenuti delle carceri. A destra il giudice Emanuele Mancini

A confrontarsi nel convegno di sabato, moderato da Fabrizio Annaro, sono stati Emanuele Mancini, giudice del Tribunale di Milano, e Franco Bonisoli, ex BR impegnato nel dialogo tra vittime e responsabili della lotta armata.

In apertura la presidente del consiglio comunale di Monza Cherubina Bertola ha ricordato che il verbo “riparare” etimologicamente significa “preparare di nuovo” perché ciò che si ripara possa tornare a svolgere la propria funzione. Difficile concepire la giustizia senza una riparazione.

Cherubina Bertola, in foto con Emanuele Mancini, parla dell’arte del “kintsugi” e di cosa significhi “riparare”

Andare al di là della giustizia ordinaria

Eppure il giudice Emanuele Mancini ha spiegato che nei processi penali la giustizia è, di fatto, senza riparazione: “Compito del giudice è accertare se il fatto è stato commesso o no dall’imputato. Delle vittime la giustizia ordinaria si può occupare in modo solo residuale, in termini di risarcimento economico”. Risarcire è possibile quando la vittima si costituisce parte civile e i giudici attribuiscono un valore economico all’offesa. Altrimenti, semplificando un po’, nel processo penale “il metro sono i giorni di carcere attribuiti al colpevole: questa è la risposta data dalla giustizia ordinaria. La Costituzione la ri-umanizza affermando il principio per cui la pena deve essere finalizzata alla ri-socializzazione”.

Da sinistra: Emanuele Mancini, Franco Bonisoli, Fabrizio Annaro

Il giudice racconta poi come sia nato in lui l’interesse per la giustizia riparativa: fa riferimento al caso di processi in cui si avverte che la risposta della giustizia ordinaria non è sufficiente, a sentenze che rischiano di essere nocive per la risoluzione del conflitto tra due persone, a casi in cui vittima e imputato sembrano sullo stesso piano, come due parti in conflitto. Tutte situazione in cui si ha la percezione che la sentenza del tribunale non ha davvero risolto il conflitto.

Sottolinea poi la difficoltà di immaginare un percorso di riparazione per i colpevoli di reati economici: “Spesso l’imputato non comprende il danno che ha provocato sulla comunità, poiché non è facile individuare il destinatario specifico del reato. Eppure, anche se non provocano immediatamente e direttamente morti o feriti, i reati economici hanno enormi ricadute su tante persone”.

Il pubblico che ha seguito con interesse e partecipazione la mattinata

La vera libertà nell’incontro

Emozionata e a tratti emozionante la testimonianza di Franco Bonisoli, che racconta il percorso iniziato quando il prete del carcere in cui lui e altri brigatisti avevano iniziato uno sciopero della fame ebbe il coraggio di chiamarli “fratelli”. E proseguito attraverso incontri con gli studenti delle scuole e soprattutto, dopo il carcere, con l’esperienza raccontata ne “Il libro dell’incontro”. Ossia un percorso durato sette anni di incontri tra vittime e responsabili della lotta armata, fortemente voluto dal cardinal Martini. Nel corso del quale l’ex BR ha potuto dialogare anche con Agnese Moro, figlia dell’uomo della cui morte è stato uno dei responsabili. 

“Il debito con lo Stato l’ho pagato con gli anni di carcere previsti dalla legge italiana”, ha spiegato Bonisoli. “Il percorso di giustizia riparativa, però, è stato un richiamo alla mia coscienza, soprattutto dopo essere uscito dal carcere. In carcere uno “paga” ma non risolve niente. È il percorso che ho compiuto dopo il carcere che mi ha dato la libertà e la ha data anche alle vittime del terrorismo che l’hanno compiuto con me”.

Da sinistra: Emanuele Mancini e Franco Bonisoli

Il concetto di libertà per Bonisoli è un punto chiave. “Da giovane concepivo l’omicidio politico come un fatto di liberazione”, racconta. “Chi si esprime con la violenza pensa sempre che la sua violenza sia giusta, ma, quando cadono i pesi delle ideologie e si incontrano le persone, si comprende che il fine non può giustificare i mezzi. La violenza genera violenza, l’ho sperimentato sulla mia pelle. Personalmente mi sono convinto che il fine dev’essere dentro il processo. L’idea che si debba costruire un mondo migliore rimane in me, ma la vera rivoluzione culturale per me ora consiste nel rifiuto della violenza”.

Dal senso di colpa al senso di responsabilità

Libertà per Bonisoli significa anche poter guardare il proprio passato con una consapevolezza nuova: “Ho avuto la fortuna di incontrare persone a cui ho fatto danni irreparabili, che mi tenevano incatenato a un passato che non si può più risolvere. La chiave per me è stata trasformare il senso di colpa verso queste persone in senso di responsabilità”. Un senso di responsabilità da cui è nato l’impegno a incontrare gli studenti delle scuole, spesso insieme ad Agnese Moro, attraverso un percorso organizzato dal Centro Asteria di Milano. “Tra noi si è creata un’amicizia che sembrava impossibile sulla carta, eppure negli incontri che facciamo traspare dai nostri atteggiamenti. Leggendo i commenti che mi arrivano dai ragazzi è proprio questa la cosa che li colpisce di più!”

La partecipazione del pubblico

Parole che stimolano interventi e domande da parte del pubblico. Si affronta così il tema dei conflitti non risolti nella società italiana, dei “misteri”, veri o presunti, legati al terrorismo degli anni Settanta, della difficoltà a fare i conti oggi con la “cultura” di quegli anni, in cui la violenza era concepita da molti – dice Bonisoli – come una possibilità reale per impedire il ritorno del fascismo. E sul sospetto che gli ex brigatisti non abbiano detto tutto sul caso Moro risponde così:

Altro tema importante è quello dei tempi della giustizia, che spesso non coincidono con quelli del percorso di maturazione e consapevolezza compiuto dal colpevole del reato.

Infine, la stretta attualità del caso Cospito: la concezione di “giustizia” che sta dietro alla decisione delle misure detentive del 41-bis, la giustizia vissuta per fazioni che spesso porta a trascurare la dignità umana dei detenuti e a inasprire lo scontro. A questo proposito Bonisoli ricorda che a cambiargli la vita è stato il prete che ha voluto chiamare “fratelli” i brigatisti proprio mentre protestavano in sciopero della fame contro le misure detentive.

Un momento degli interventi del pubblico

Lo sportello di giustizia riparativa a Monza

La mattinata prosegue con la presentazione dello sportello di giustizia riparativa del comune di Monza, ispirato a un’idea di giustizia che – ha spiegato Marco Belloni – non sia calata dall’alto ma che persegua il compito di ri-socializzazione, in grado di cambiare sia il colpevole che la comunità, accompagnando le persone anche dopo l’uscita dal carcere.

Da sinistra: Marco Belloni, Rossana Bonanomi, Giuditta Furlan, Simone Ceresa

Lo sportello rappresenta un servizio inedito che è stato inserito in un centro civico cittadino (quello di via Silva 26) proprio per portare avanti una “lettura pubblica del reato” come la definisce Rossana Bonanomi, referente dello sportello: “Spesso le persone si sentono vittime di un reato commesso nel contesto in cui vivono”, anche se non ne sono le vittime dirette. Il modello di giustizia a cui si ispira lo sportello, spiega la mediatrice penale Giuditta Furlan, si affianca a quello tradizionale che ha il compito di separare dalla società: “Obiettivo della giustizia riparativa che portiamo avanti è guardare le persone e estendere questo sguardo anche alla dimensione comunitaria”.

Un esempio concreto è raccontato dal mediatore Simone Ceresa. Due ragazzi minorenni rubano per gioco una borsetta a una signora per strada: questo fatto separa tutti e tre dalla propria vita di prima. I due ragazzi vengono arrestati, la signora non riesce più a uscire di casa. Il percorso di confronto ha portato a ricomporre proprio ciò che si è spezzato, attraverso la relazione e la comprensione tra vittima e colpevoli.

Da sinistra: don Augusto Panzeri, Emanuele Mancini, Franco Bonisoli

In conclusione don Augusto Panzeri, direttore Caritas e cappellano del carcere di Monza, voluto ricordare la parabola del Buon Samaritano e una rappresentazione figurativa in cui il samaritano e il suo “prossimo” hanno lo stesso volto: “Riflettendo mi sono chiesto cosa potrebbe fare il samaritano dopo aver soccorso l’uomo derubato dai briganti ed essere ritornato in città: mi sono risposto che probabilmente andrebbe a cercare i briganti e probabilmente scoprirebbe che anche loro hanno lo stesso volto”.

Vi proponiamo la registrazione completa del convegno.

 

 

Questo invece è la Playlist dove ci sono tutte le registrazioni della Settimana della Carità 2023.

La regia dei video è di Emanuele Patrini

 

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